La valenza sociale delle biblioteche pubbliche nel contesto dell’educazione permanente
Pubblicato sulla rivista “Periferia”, n. 1 (74), 2010 – ISSN 1974-0530.
Fino a pochi anni fa, il British Museum ospitava nella sua sede anche la British Library, costituita nel 1857 e caratterizzata dalla splendida sala di lettura a pianta circolare situata nel cortile interno; questa è sempre stata a disposizione del pubblico, accogliendo sia ricercatori che filosofi, sia scrittori che studenti, ma anche persone di ogni ceto e provenienza. Un uomo di mezza età, lontano dagli ambienti accademici e privo di reddito, poteva recarsi regolarmente al British Museum e passarvi intere giornate studiando e apprendendo; se poi l’uomo in questione fosse un immigrato tedesco tenuto d’occhio dalla polizia, ci ritroveremmo di fronte a Karl Marx intento a elaborare “Il Capitale”.1
Questo esempio ci introduce a un tema di grande attualità culturale, ossia il ruolo delle biblioteche pubbliche nel contesto della formazione di una cultura sociale, condivisa anziché elitaria, sviluppantesi attraverso l’iniziativa individuale di autoapprendimento i cui risultati si ripercuotono nella comunicazione e nei rapporti collettivi.
La biblioteca di pubblica lettura si pone come luogo aperto di conoscenza e diffusione del sapere, non legato necessariamente all’ambiente accademico o scolastico; assume perciò una valenza sociale in quanto consente l’accesso alle informazioni a larghe fasce di utenza, espandendo il principio di inclusione. La preparazione e il grado di consapevolezza che derivano dalla possibilità di fruizione del sapere è un cardine della società democratica: l’individuo, chiamato a sfruttare la propria intelligenza per la risoluzione dei problemi sociali, deve poter sviluppare la propria creatività attraverso un’educazione attiva e stimolante, diversa dall’indottrinamento nozionistico che caratterizza ancora oggi la formazione scolastica.2 Si tratta in questo caso di ricercare una educazione permanente con cui espandere la formazione al di fuori degli ambiti formali e passare a intendere l’apprendimento in funzione degli adulti.
L’odierna società della conoscenza privilegia il sapere in quanto bene immateriale; questa immaterialità non si limita alla natura astratta del pensiero, ma si estende all’intero concetto di beni culturali, ossia, seguendo la definizione dell’Unesco, gli elementi fondamentali delle identità culturali dei popoli.3 La tutela di questi elementi, fine ultimo della stessa Unesco, è passata da una generica difesa dell’integrità di siti geografici di importanza storica, a quella di opere d’arte e di ingegneria, fino a produzioni moderne di elevato valore umano, secondo paradigmi valutativi chiari e al contempo flessibili. Il motivo di fondo che ispira le decisioni della commissione Unesco è sostanzialmente il principio di accesso alla fruizione collettiva dei beni di interesse culturale, nel diritto di ogni individuo a partecipare dell’esperienza e del profitto spirituale e intellettuale derivante da questi beni, partecipando altresì al dovere di tutelarli.4
Una tale preoccupazione si riflette appunto nel tema dell’educazione permanente, intesa quale forma di apprendimento lungo tutto il corso della vita, un campo educativo e formativo comprendente forme molto diversificate di iniziative e di interventi, i cui obiettivi sono preposti in relazione al tipo di utenza, al contesto, allo scopo, ecc.; esistono tre obiettivi di fondo, comuni perciò a tutte le iniziative: innanzitutto lo sviluppo dei soggetti, della loro autonomia nel comprendere, valutare e scegliere le decisioni da prendere nella propria vita di cittadini, di detentori di un ruolo sociale; poi lo sviluppo della società in campo culturale, economico e politico; infine lo sviluppo degli aggregati sociali, ad esempio famiglia e mondo del lavoro, in cui si incontrano le scelte e le potenzialità individuali con quelle collettive. Più in particolare, rispetto ai soggetti, l’educazione permanente mira a incrementare la capacità di imparare a imparare, cioè utilizzare nel modo più proficuo il lavoro mentale in vista degli scopi che il soggetto stesso persegue; e la capacità di partecipare ai processi di democratizzazione sociale in quanto pratica di libertà individuale e collettiva, riuscendo ad aumentare il proprio e altrui benessere (fisico, economico, intellettuale ecc.).5
Tutte le strategie adottate mirano dunque a favorire il processo di apprendimento e stimolare l’utilizzo del lavoro della mente, nel rispetto dei tempi e dei modi individuali di studio, comprensione, elaborazione, interpretazione. È in questo quadro che si collocano le potenzialità della biblioteca pubblica, di cui si ha un esempio di grande sviluppo nei paesi anglosassoni e che conta su approfondite riflessioni e iniziative concrete, dal Progetto IFLA6 alla nascita di una rivista tematica;7 la biblioteca ha avuto quindi un forte impulso come sede di processi educativi e di apprendimento informali, in collaborazione con gli enti ufficiali.
La riflessione sui servizi educativi informali è un’esigenza pregnante nella società della conoscenza; l’attuale innovazione tecnologica delle forme di comunicazione e accesso alla conoscenza si riflette tanto sull’insegnamento e lo studio, quanto sulla funzione che la biblioteca pubblica assume nel processo. Le nuove utenze, ad esempio in ambito universitario, comprendono gli studenti adulti, gli studenti che usufruiscono dell’educazione a distanza (anche internazionale), e si affiancano a tutta una serie di altre figure non accademiche, generalmente attratte dalle biblioteche di pubblica lettura. È evidente la predominanza delle biblioteche universitarie e scolastiche, ma queste risultano inserite in un ambiente istituzionale specifico; le biblioteche pubbliche, sia nazionali che civiche, sono invece immerse nel contesto della vita pubblica quotidiana, erogando un servizio rivolto a tutta la popolazione.
La società dell’informazione è al tempo stesso una società votata all’apprendimento. Sin dagli anni Sessanta del secolo scorso si è cominciato ad analizzarle trasformazioni sociali nel loro impatto sui modi di apprendere. Il paradigma della complessità è il sintomo della dinamicità instabile cui le persone sono costrette a soggiacere, adattandosi costantemente ai mutamenti di costume, tecnologici, economici; la necessità primaria dell’essere umano diventa pertanto la capacità di orientamento e scelta dei percorsi secondo una riflessività continua, ossia di apprendimento. I vecchi limiti di un tempo e un luogo per ricevere un’educazione svaniscono, mentre si configurano nuove figure preposte a questo compito; acquisire conoscenza diviene pertanto una condizione permanente, in una forma continua e aperta che coglie tutte le modalità alternative di apprendimento. La conoscenza diventa inoltre un elemento fondante dell’economia, del lavoro e dello sviluppo sociale.
Tralasciando la questione se sia più o meno corretto distinguere tra modernità e post-modernità, senza dubbio si può riconoscere il passaggio dall’era industriale all’era informatica, in cui il vecchio ideale di progresso, tutto sommato sicuro e lineare, si perde nella complessità dei rapporti sociali e viene in certo modo sostituito da concezioni basate su problemi concernenti sia il piano individuale, sia quello collettivo, sulla gestione delle risorse, sulla convivenza sociale e sulle potenzialità espresse dalla tecnologia informatica. L’educazione, in un tale contesto, non può limitarsi alla fascia d’età sotto i vent’anni, fruitrice dei servizi formali di apprendimento; né tantomeno essere appannaggio di in una élite, come se non vi fosse instabilità, ma deve interessare l’intera comunità e l’intera durata dell’esistenza di ogni individuo. Educare gli adulti è un obiettivo e una pratica che supera la primitiva idea di mera compensazione strumentale per le mancanze del periodo scolastico; è un obiettivo che diviene prospettiva globale: una continuazione dell’apprendimento quale elemento strutturale della società, la quale concorre nel suo insieme alla formazione e alla crescita personale dell’individuo attraverso gli aggregati sociali.
La prospettiva olistica e umanistica dell’educazione permanente si distacca pertanto dalle visioni utilitaristiche e funzionali all’inserimento nel mondo del lavoro, proprie dell’educazione detta “ricorrente”. Nel concetto dell’educazione per tutto il corso della vita si saldano l’autoeducazione, l’orientamento, la scuola aperta a tutti, l’educazione democratica, la scuola su misura, oltrepassando anche sul piano dei valori l’educazione strumentale, mediante la lotta all’esclusione sociale e culturale, l’affermazione del diritto pieno alla cittadinanza, lo sviluppo intellettuale e della socialità individuale, la promozione umana della persona nella sua globalità. Si saldano perciò insieme le due “anime” dell’educazione degli adulti, quella umanistica rivolta all’impegno comunitario e all’emancipazione sociale e quella orientata alla ricerca individuale degli strumenti per la propria crescita culturale, professionale, intellettuale e morale.
L’Unesco ha provveduto in varie occasioni8 a definire il concetto di educazione permanente, passando dall’idea di società dell’apprendimento a quella di società educante. Nel “Manifesto IFLA/Unesco sulle biblioteche pubbliche”, redatto nel 1994, si riconosce a queste il ruolo di accesso locale alla conoscenza, tramite cui si forniscono le condizioni di base della capacità di scelta e dello sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali; è in questo documento che appare per la prima volta in via ufficiale la nozione di educazione permanente: prima, infatti, nel Manifesto Unesco del 1949 era sottolineata genericamente l’importanza della libertà democratica, della fratellanza e dell’educazione pubblica attraverso l’idea di biblioteca come “agenzia democratica per l’educazione popolare”; nel Manifesto del 1972 si ribadiva il sostegno allo studio e allo sviluppo tecnologico, ponendo attenzione alla inclusione democratica e culturale dell’utenza, sollecitando la fornitura dei materiali multimediali che all’epoca iniziavano a far parte della vita quotidiana. Ma anche se la biblioteca pubblica era già menzionata come un prodotto della moderna democrazia, ancora era vista in senso generico; dal 1994 in poi essa a cquista invece il valore concreto di luogo di apprendimento insieme ai musei e alle istituzioni culturali, nel processo generale dell’educazione permanente innestato in una rete collaborativa di istituzioni territoriali.
Il ruolo delle biblioteche viene riconosciuto nel 2000 anche dalla Unione Europea9 in merito all’attività di informazione, orientamento e consulenza che le biblioteche svolgono, alla funzione di punto di accesso ai servizi correlati e alla connessione con gli altri enti per fornire tutte le opportunità disponibili di apprendere. Le biblioteche diventano così parte integrante della rete di centri polifunzionali d’apprendimento permanente.
Storicamente, tuttavia, bisogna ricordare che la biblioteca ha assunto un ruolo educativo molto prima dei giusti riconoscimenti attuali: sin dalla metà dell’Ottocento si diffusero i movimenti europei per le biblioteche popolari, al fine di incoraggiare l’autoapprendimento e l’alfabetizzazione degli adulti. Vari gli elementi fondanti, dall’impegno del clero ad alimentare la religiosità attraverso la diffusione dello studio della Bibbia tra i poveri, all’attenzione per l’istruzione dei lavoratori nel pieno della Rivoluzione Industriale dei movimenti sindacali, nonché all’interesse nel formare una coscienza nazionale tramite la partecipazione alla vita politica.
In Italia l’educazione popolare era intesa come continuazione dell’istruzione scolastica nelle masse popolari; un fenomeno interessante era costituito dalle biblioteche “mobili”, i cui volumi venivano acquistati grazie al denaro delle quote associative degli aderenti, i quali facevano poi circolare tra loro i libri; inoltre il movimento socialista, nascente in quel periodo storico, supportava le biblioteche popolari legate alle società operaie. Nel 1909 si arrivò alla costituzione di una Federazione italiana delle Biblioteche popolari.
Bisogna attendere il secondo dopoguerra per passare dalle biblioteche popolari alle biblioteche pubbliche (sul modello anglosassone), aperte e destinate a tutti in forza dei princìpi democratici. In effetti la biblioteca catalizza le posizioni critiche verso le istituzioni educative tradizionali, rappresentando innovazione e alternativa; essa è perciò necessariamente già proiettata nella nuova prospettiva educativa e deve investirsi di nuove responsabilità. Il problema è che, al di fuori del mondo anglosassone, le biblioteche pubbliche non percepiscono se stesse come agenzie educative informali, soprattutto in Italia.
L’educazione è soggetta a pregiudizi e limiti, intendendola più nel senso di un indottrinamento mnemonico, rivolta unicamente ai giovani, dimenticando spesso le possibilità di educare anche gli adulti in modo informale e accessibile, sia logisticamente che economicamente. Grazie all’enorme sviluppo tecnologico, l’informazione è diventata una possibilità per tutti e il modo di raccogliere, gestire e trovare i dati è stato rivoluzionato. Le biblioteche si stanno adeguando, ma sembrano ancora lontane da cambiamenti radicali. Come sancito dalle Linee Guida IFLA-Unesco, la biblioteca pubblica è “agenzia del cambiamento” che deve individuare le fasce di utenza adeguandovi i servizi. Necessario diventa allora un intervento a lungo termine che parta dall’idea di educazione degli adulti e si innesti sul rapporto con le organizzazioni educative, i gruppi di volontariato e le associazioni dedite alla cultura, tutti aggregati operanti all’interno della comunità.
Riprendendo la visione di John Dewey, possiamo ravvisare proprio nella biblioteca pubblica un luogo in cui far fiorire quel concetto di educazione non dottrinaria, grazie alla quale sviluppare l’intelligenza individuale in quanto strumento soggettivo di interazione con il mondo circostante, mirando per questo a stimolare la creatività spesso umiliata dalla routine, dalla ripetizione reiterata delle stesse forme di apprendimento. Al contrario, per affrontare la modernità è necessario il dinamismo intellettuale, l’uso del lavoro della mente per contribuire al benessere della comunità.
La visione di società democratica è per Dewey simile a una riunione di scienziati, intenti alla risoluzione di un problema; ciò implica la capacità di ogni cittadino di partecipare all’attività pubblica col suo proprio bagaglio di esperienze e conoscenze. Per aumentare la consapevolezza, la conoscenza e la capacità di partecipazione attiva alla crescita sociale, bisogna favorire l’inclusione degli adulti alla fruizione delle nuove opportunità di apprendimento informale, perché possano uscire dagli schemi concettuali della pseudocultura massificata, dal vuoto lasciato dagli anni della scuola formale, dal lento logorio psicologico di un certo tipo di media incentrati sulla superficialità e i luoghi comuni; ed è proprio in tale quadro che la biblioteca emerge, per le sue proprie strutture, quale luogo di formazione dell’autocoscienza individuale e al tempo stesso collettiva, in virtù della dimensione sociale di ogni individuo.
Note
1 Cfr. F. Wheen, Marx. Vita pubblica e privata, Mondadori, Milano, 2001.
2 Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione, Sansoni, 2004.
3 Manifesto Unesco 1949.
4 Cfr. l’intervento di F. Lucarelli “Diritto di godimento e interesse della comunità internazionale alla conservazione” al Convegno SISDIC, tenutosi a Capri dal 25 al 27 marzo 2010.
5 Cfr. D. Bellamio, “La formazione, il lavoro,la vita”, in Adultità n. 16, Formazione lavoro. Guerini, e Associati, Milano, ottobre 2002.
6 International Federation of Library Associations and Institutions, federazione mondiale di associazioni di biblioteche, creata nel 1927 in Scozia per essere un forum per lo scambio di idee e per promuovere la cooperazione internazionale, la ricerca e lo svilluppo in tutti i settori connessi alle attività bibliotecarie.
7 New Review of libraries and Lifelong Learning, Cambridge 2000-2004.
8 Cfr, i Manifesti fondativi del 1949, del 1972 e del 1994; cfr. anche il Rapporto Delors del 1996.
9 Memorandum on Lifelong Learning, 2000; comunicazione Making a European area of Lifelong Learning a Reality, 2001.