Filosofia del turismo. Prospettive etiche e pedagogiche tra Italia e Brasile

Questo saggio è stato scritto in collaborazione con la prof.ssa Carla Regina Jordão Bartiromo e pubblicato nel volume Il turismo tra accoglienza, accettazione e investimento, a cura di P. B. Helzel, Franco Angeli Edizioni, Roma-Milano, 2017.

Frutto del nostro lavoro congiunto, per fattori di attribuzione più specifica può essere suddiviso come segue: le parti 1 e 5 sono in prevalenza a opera della prof.ssa Jordão Bartiromo; le parti 2, 3 e 4 sono in prevalenza a opera mia. Ma non avrei saputo dare profondità e chiarezza alle mie parti senza l’apporto della co-autrice.

Sommario: 1. Il viaggio come scoperta – 2. La filosofia applicata al turismo– 3. Identità e diversità: una relazione complessa – 4. Pratiche per un turismo inclusivo – 5. Esiste un turismo sostenibile?– Bibliografia

1. Il viaggio come scoperta

Ogni viaggio comporta un trasloco nell’anima. Un qualcosa che viene da dentro. Nella scelta di una meta si ha in mente qualcosa che, oltre a piacerci, sia impresso in noi attraverso una foto, un racconto, un legame di sangue (come quelli dei discendenti italiani, ad esempio, volendo conoscere la terra natia dei propri avi) o un desiderio di avventura.

Conoscere altre culture fa ridimensionare quel che si è, si ha o si vuole. La scoperta di nuovi mondi ci fa rivalutare e confrontare il nostro. Ogni posto, ogni situazione vissuta, meravigliosa o sgradevole (perché no?), ci cambia. Ci lascia un odore, un sapore, un colore indelebile. Nessuno ritorna da un viaggio come era prima e chi lo fa, in verità non ha viaggiato. Per comprendere questo aspetto è necessario aprirsi, lasciare che la destinazione “inghiotta” il viaggiatore e lo trasporti dentro di sé, facendolo assorbire, sciogliere, essere parte di essa. La conoscenza che si acquisisce attraverso lo scambio di esperienze culturali, oltrepassa quella dei libri. Il turismo ha la peculiarità di trasformare, aprire, mostrare cammini, idee, sfatare miti e costruirne altri, insomma: è il ponte tra letteratura e realtà, fra teoria e pratica vissuta.

Un semplice scambio di informazioni nella portineria dell’albergo, nel ristorante, alla fermata dell’autobus, già fornisce, sia al turista che al residente, una dimensione delle differenze o delle somiglianze tra i rispettivi paesi. Nei racconti di tanti blog e libri di viaggio, alcuni punti sono sempre i medesimi: basta che il turista dica da dove viene e inizia una conversazione pertinente a ciò che il residente conosce di quel determinato paese, e viceversa. Questo contatto è la molla propulsiva di tutti i ricordi del viaggio: il tassinaro chiacchierone che raccontava le particolarità della sua gente, il cameriere che faceva domande su un giocatore di calcio del paese in questione, il commerciante che esaltava la tradizione della merce nel suo negozio. È una transazione tanto commerciale, quanto esistenziale: i residenti regalano la loro cultura, amicizia ed esperienza e i turisti promuovono lo sviluppo, dando lavoro a queste comunità. Se lo si fa in maniera responsabile, si minimizza l’impatto causato dal turismo di massa e di lusso che spesso ha procurato danni ad ambiente, culture e società nei paesi di destinazione. Questa è una delle preoccupazioni riguardo al “turismo sostenibile”, quello che «salvaguardia l’ambiente e le risorse naturali, garantendo la crescita economica dell’attività, ossia, capace di soddisfare le necessità delle generazioni presenti e future», volto a «economizzare le risorse naturali rare e preziose, principlamente l’acqua e l’energia, e che vada a evitare, nella misura del possibile, la produzione di rifiuti, deve essere privilegiato e incoraggiato dalle autorità, pubbliche nazionali, regionali e locali» (Articolo 3 del Codice di Etica Mondiale del Turismo – OMT).

In un mondo globalizzato, frenetico e così “tentatore” (voli low cost, facilità di pagamento, ecc.) è naturale una domanda crescente. Prima dell’avvento dell’internet, i materiali sulle riviste di turismo o nei programmi televisivi invogliavano a viaggiare in un modo molto soggettivo ed indiretto. Oggi è possibile fare dei tour virtuali, percorrere sentieri e locali senza uscire di casa e ciò ha dato un’altra dimensione all’aspirante viaggiatore. Sono avvenuti cambiamenti nell’offerta: adeguamenti, prezzi competitivi, trattamenti differenziati, tutti volti alla seduzione della clientela, al servizio dell’utente. Alcuni paesi hanno modificato il proprio modo di intendere il turismo, a causa delle accresciute esigenze del consumatore, che possiede strumenti immediati per far scendere o salire ogni destinazione nel ranking dei “preferiti”. Si può dire che sin dalla scelta della meta, dall’acquisto dei biglietti, dalla prenotazione dell’albergo, dalla ricerca di attrazioni e locali da frequentare, nell’animo del viaggiatore si sta già partendo, il viaggio è già in fase di realizzazione, di godimento.

Ciò che porta l’essere umano a viaggiare è la costante ricerca del proprio io, la sua sete di conoscenza e di piacere. Esiste una voglia di immedesimarsi nella popolazione locale, di conoscere i modus vivendi e capire le culture. Oltre al semplice piacere di intraprendere un viaggio per svago, è implicita la voglia del meravigliarsi ancora e ancora davanti alle innumerevoli bellezze del globo. Tra tutte le esperienze che il turismo offre, il confrontarsi con l’altro è la più ricca. Ogni volta più attenti alle fette di mercato, per attrarre sempre più consumatori, i soggetti agenti ampliano il ventaglio della scelta turistica. Il turismo inclusivo è la forma più nuova di espansione delle loro attività. Ancora vi è molto da fare per le soluzioni architettoniche a garanzia dell’accessibilità, ma rispetto ad anni precedenti il viaggio di una persona su sedia a rotelle, di un non-vedente, di un anziano o di un altro viaggiatore con necessità speciali, non è più uno scoglio insormontabile. Le ricerche costanti e i progetti sul “turismo per tutti” hanno spinto ancor di più la domanda, e sarebbe interessante poter osservare i risvolti emozionali di questi turisti “speciali” difronte a meraviglie prima inaccessibili, ascoltarne le testimonianze dal punto di vista di persone non più escluse dal godimento del patrimonio dell’umanità. Tutti questi aspetti, tanto sociologici ed economici, quanto antropologici e culturali, accrescono la necessità di un approccio interdisciplinare alla produzione degli studi di turismo.

2. La filosofia applicata al turismo

Il turismo è un fenomeno sociale e culturale dai risvolti filosofici molto interessanti. Risvolti che spaziano dall’etica alle questioni esistenziali, dalla ricerca del piacere a quella dell’identità, al mutamento che deriva dall’incontro con ciò che è altro, diverso, talvolta opposto. Il ruolo di un’analisi filosofica del turismo (che nell’ambito culturale italiano ed europeo sembra essere ridondante, data la scarsa utilità attribuita al momento della produzione teorica di base), è importante nella valutazione delle azioni, delle pratiche e dei soggetti turistici. L’ambito consueto in cui si colloca il turismo è il settore commerciale e amministrativo, essendo considerato innanzitutto una pratica economica; ma, come ogni pratica economica, il turismo necessita di un momento teorico in cui tutti i dati e le statistiche, le impostazioni organizzative e i servizi, devono confrontarsi con elementi culturali, sociali e persino politici, la cui influenza è fondamentale per l’adattamento ai costanti mutamenti degli spazi fisici e virtuali delle comunità aperte al turismo. Si tratta della tensione tra il momento pratico contingente, preponderante nella logistica, e il momento della ricostruzione del quadro generale in cui cogliere la visione integrale dei progetti che nella logistica trovano applicazione. Una tensione tra questi momenti dovrebbe passare necessariamente attraverso la riflessione filosofica, per uscire dalla prospettiva in certo modo “riduzionista” dell’organizzazione economica e ritrovare una maggiore ampiezza di visione. Il motivo è semplice: la riflessione filosofica serve a pensare in modo organizzato su aspetti e problemi che riguardano i soggetti coinvolti, le loro motivazioni, la loro natura e gli effetti delle loro azioni; chiedersi a cosa serva il viaggio, chi sia il turista, quando un individuo possa diventarlo e quali conseguenze comporti l’esperienza cui si prepara, che vive, e infine conclude e introietta, non è un mero esercizio di marketing, è una ricerca e una costruzione del senso che il viaggio, anzi, il movimento stesso, ha per l’essere umano. Ogni viaggio comporta un’apertura verso ciò che è altro, un’uscita dal proprio ambito di appartenenza, dalla propria “sfera di conforto”, un incontro con la diversità e una interazione attraverso cui il soggetto cambia la propria condizione e, con le sue azioni, modifica l’ambiente in cui arriva, ne è modificato a sua volta, infine modifica al suo rientro il proprio ambiente d’origine, portando con sé gli elementi con cui ha interagito. Il viaggio si trasforma perciò in esperienza evolutiva e il turismo ne è l’ambito privilegiato e organizzato, in cui si incontrano il principio del piacere, la comunicazione interculturale e il confronto con la diversità, con l’alterità. Da questo punto di vista, le implicazioni etiche e pedagogiche del turismo si affiancano a quelle commerciali, logistiche e amministrative, per assumere un ruolo di grande importanza tanto nella cultura di ogni paese e comunità, quanto nella vita e nell’esistenza interiore di ogni individuo.

L’applicazione della filosofia a ogni ambito di studio è una pratica diffusa da tempo nel sistema universitario del Brasile, nella convinzione che ogni materia possa trarre vantaggio dallo sviluppo creativo delle idee attraverso la profondità della riflessione teorica e dell’uso dell’immaginazione. In maniera non dissimile da quanto si intende fare, in Italia e in Europa, con i corsi di filosofia del diritto nelle facoltà di giurisprudenza, la filosofia in Brasile sembra seguire l’idea che Karl Popper aveva della metafisica: un programma di ricerca basato sulla formulazione di teorie e ipotesi che scaturiscono dal rilevamento di un problema, per tracciare linee di lavoro e direzioni per lo studio, la raccolta degli elementi e la loro sistemazione, selezione e valutazione, al fine di una graduale transizione verso la scienza1. Questa attenzione alla riflessione filosofica in merito al turismo, comunque, si è accentuata in tempi recenti, in particolare con l’opera di Alexandre Panosso Netto2, che sottolinea la carenza di ricerche scientifiche che traggano elementi di novità negli studi di accademia sulla materia (intendendo per accademia le facoltà, i ricercatori e gli studenti dei corsi di turismo). La filosofia è innanzitutto una riflessione sull’essere umano e sul mondo, dice Panosso Netto, che si preoccupa con gli aspetti etici, logici, scientifici e metafisici dell’esistenza umana; alla luce di ciò, il turismo è un soggetto e un’esperienza che può e deve essere esaminato come problema esistenziale e fonte di conoscenza. La produzione scientifica ha sempre a che fare con la filosofia nel momento in cui deve definire concetti come la verità, l’ipotesi, l’errore e via dicendo; ma raramente prende in considerazione il ruolo da questa svolto a monte della ricerca, concentrandosi sui risultati tangibili. Anche Margarita Barretto, figura eminente degli studi brasiliani sul turismo, denuncia la mancanza di un’adeguata produzione teorica che possa fornire ausilio non solo a un’applicazione migliore delle tecniche, ma all’elaborazione di nuovi paradigmi per modelli di turismo adeguati a una società più ampia e complessa3. Le motivazioni che spingono l’essere umano a muoversi per il mondo sono innumerevoli e non facili da investigare, essendo alcune estremamente soggettive; ciò spiega come la forma generale degli studi di turismo si esplichi in un congiunto di valutazioni in merito ad attività economiche e transazioni finanziarie, in un’ottica riduzionista. Ma la complessità di queste motivazioni porta verso una visione del turista come un essere storico, continua Panosso Netto: non un essere definito, bensì in continua trasformazione, e il turismo è l’esperienza che comporta la costruzione dell’essere turista, non limitata al momento del viaggio, ma comprendente tutto ciò che viene prima e ciò che viene in seguito.

Ogni soggetto implicato nel viaggio è, in effetti, un essere storico: il turista, l’agente di viaggi, il pilota, il portiere d’albergo, sono tutti soggetti che hanno il loro essere giustificato e plasmato dall’esperienza in divenire; le stesse infrastrutture, come alberghi, ristoranti, resort e via dicendo, sono sperimentati storicamente, in maniera determinata, dal soggetto-turista così come da ogni altro soggetto implicato. Questa complessità di rapporti, come è evidente, rende meno semplice la definizione di turismo, che deve tenere in conto la dicotomia turista/non-turista: l’esperienza turistica è insomma un fenomeno che coinvolge più soggetti e ne trasforma costantemente alcuni (i viaggiatori) da non-turisti a turisti e viceversa tra l’inizio e la fine del viaggio, ponendoli in relazione con altri soggetti che pur rimanendo non-turisti (gli operatori), vivono la stessa esperienza da una prospettiva differente, così che il turismo acquisisce una definizione differente a seconda del soggetto che lo vive. Da ciò se ne ricava, in parole più semplici, che l’esperienza turistica è un’esperienza esistenziale in cui l’essere umano, quale che sia il suo approccio e il suo angolo di visuale, subisce e provoca cambiamenti, in se stesso e in ciò che lo circonda, al di fuori della sua quotidianità, delle sue routine. Il turista, come l’operatore con cui interagisce, non è un mero oggetto di statistica economica, è un soggetto che fruisce di beni e servizi, acquista conoscenze, modifica se stesso e ciò che incontra, poiché si muove e si relaziona portando con sé tutto il suo bagaglio culturale, storico e comportamentale. D’altro canto, il fenomeno turistico ha valore in quanto l’essere umano decide di viaggiare: il soggetto concreto degli studi sul turismo, allora, non dovrebbe essere il fenomeno turistico in sé, bensì l’umanità, che lo rende possibile.

3. Identità e diversità: una relazione complessa

A partire dagli anni Cinquanta, il turismo si è imposto come fenomeno di massa. Dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, questa opportunità straordinaria di viaggiare ha alimentato le speranze di un maggior avvicinamento dei popoli, una possibilità per favorire la comprensione tra culture diverse, la coscienza delle diversità e, sul lungo termine, la pace. Le relazioni tra visitatori e visitati sono un argomento strettamente connesso al fatto che l’umanità, prima dell’economia, sia il vero soggetto del turismo; Barretto ha rilevato4, però, come queste relazioni siano impregnate anche di pregiudizi, di tendenze allo sfruttamento e di altri vecchi problemi da sempre caratterizzanti le relazioni umane, fino a provocare danni e impatti negativi, anziché apertura e presa di coscienza. Questioni come il colonialismo culturale, la xenofobia, il sentimento di superiorità/inferiorità, la preminenza di logiche mercantili su quelle “ideali”, contribuiscono a rendere l’immagine del turismo come volano della pace un mito contemporaneo, irreale e lontano.

La relazione tra visitatori e visitati varia per ogni caso, in relazione a circostanze di volta in volta favorevoli o sfavorevoli, che implica una certa dose di cautela nella ricerca al fine di evitare generalizzazioni. La convivenza, anche se limitata nel tempo della vacanza, di persone dai retroterra culturali molto differenti, genera per forza di cose non solo uno scambio positivo, ma anche uno stridore tra comportamenti e concezioni della quotidianità talvolta opposti. I gesti, le abitudini, i movimenti e le espressioni tipiche di una comunità, oltre che una risorsa, possono essere un ostacolo; e la consapevolezza di questo lato “negativo” del turismo, produce a sua volta uno stereotipo negativo, per cui le popolazioni visitate sono vittime e quelle visitanti sono sfruttatrici. In realtà, le relazioni tra popoli sono complesse quanto lo sono quelle individuali e il turismo, come esperienza fenomenica, pone in risalto caratteri che accompagnano la società umana dai suoi albori.

Una breve digressione sul tema della quotidianità può forse aiutare a comprendere le difficoltà dell’incontro e della convivenza. Il pedagogista brasiliano Paulo Freire5 ha vissuto l’esperienza dell’alterità culturale da un punto di vista drammatico, l’esilio imposto dalla dittatura militare dopo il golpe del 1964. Come risulta evidente, le sue esperienze non hanno nulla della volontarietà di un viaggio a scopo ricreativo, eppure le sue riflessioni sulla quotidianità in un contesto differente sono di grande interesse per capire l’impatto culturale della diversità. Il contesto di arrivo al termine di un viaggio, pone al visitatore la questione di rapportarsi con schemi mentali, abitudini e comportamenti diversi, che devono essere compresi per potersi muovere nel modo giusto e sapere cosa può o non può essere fatto. Per un esiliato, naturalmente, si tratta di un trapianto in una realtà di lunga durata, che distrugge la quotidianità familiare in cui l’esiliato era immerso e, se questi non reagisce tentando di adattarsi, resta isolato e “impermeabile” al nuovo contesto. Tuttavia, Freire sottolinea come proprio la reazione attiva questa situazione obbligata lo abbia reso capace di aprirsi all’alterità, alla diversità, arricchendosi nella coscienza di dover accettare anche quel che nel suo contesto di origine era forse considerato negativamente. Alcuni esempi, molto semplici, di gesti quotidiani molto diversi che lo hanno colpito riguardano il modo di chiamare qualcuno, di esprimere un’emozione, di compiere un’azione in pubblico o in privato:

C’è una forma speciale in ogni cultura che non può essere rotta, c’è un certo codice, no? Mi ricordo di una volta in Cile, al Ministero delle Relazioni Estere. Avevo un problema da risolvere in relazione a un documento necessario alla mia permanenza nel paese. Stavo al bancone dell’ufficio e nessuno mi serviva. Nessuno guardava nella mia direzione. A un tratto qualcuno alzò la testa e mi vide. Gli feci un gesto con la mano, un cenno per dire che ero lì, in attesa. Il ragazzo mi si avvicinò e, con voce di chi si sentiva offeso, mi disse che quella non era una maniera cortese di chiamare qualcuno. Sorpreso, in quel momento non sapevo che fare. A ogni modo dissi: “non avevo alcuna intenzione di offenderla, io sono brasiliano…”; “ma lei è un brasiliano che vive in Cile, e in Cile non si fa così”, disse lui categorico. “Bene, allora le chiedo scusa di nuovo, le chiedo scusa per quello che le è sembrato offensivo nel mio gesto, non per l’intenzione di offenderla, che non c’era. Voglio dire, soggettivamente non volevo offenderla, ma oggettivamente la ho offesa.” Che misteri, quelli della cultura! Lui mi servì, non so se mi servì, e io me ne uscii meditando per la strada. Come devono essere compresi i più piccoli dettagli della quotidianità! Se non tentiamo una comprensione critica del diverso, corriamo il rischio, nella necessaria comparazione che facciamo tra le espressioni culturali del nostro contesto e di quello in prestito, di applicare claudicanti giudizi di valore sempre negativi alla cultura che ci è estranea. Per me, questa è sempre una posizione falsa e pericolosa. Rispettare una cultura diversa, rispettando anche la nostra, non significa però negare la nostra preferenza per questo o quel tratto del nostro contesto di origine o per questo o quel tratto del nostro contesto in prestito. […] In fondo, tutto questo mi ha insegnato e ha continuato a insegnarmi molto. Mi ha insegnato a vivere, a incarnare una posizione o una virtù che considero fondamentale non solo dal punto di vista politico, ma anche esistenziale: la tolleranza.

Freire riporta anche il modo di esprimersi molto fisico della sua gente, che in Svizzera lo ha invece messo in imbarazzo con una collega per averle semplicemente toccato un braccio mentre conversavano; altrettanto il rapporto con la musica, in un episodio in cui il figlio si esercitava a suonare Bach a tarda sera, provocando le proteste di un vicino, mentre a lui conciliava il sonno. Questioni minimaliste, viene da dire, ma che restituiscono la dimensione quotidiana della convivenza tra diversi. La tolleranza, infatti, si costruisce a partire dal minimo, dal piccolo, dal basso.

Riprendendo la linea di Barretto, è necessario allora affrontare questo tema in maniera concettuale. Abbiamo visto come si può concettualizzare l’essere turista, il visitatore di comunità aperte al movimento; bisogna definire ora il concetto di comunità visitata. Un primo criterio è quello geografico, per cui le comunità corrispondono ai limiti geografici di un dato territorio, distinguendosi in comunità rurali, urbane, montane ecc.; altri criteri possono essere la funzione sociale e ovviamente la cultura, con comunità religiose, politiche, imprenditoriali e via dicendo. Anche il numero di abitanti è fondamentale, dato che una comunità piccola risulta spesso più omogenea e compatta, mentre una grande società può avere al suo interno varie comunità in relazione tra loro, rendendo più complessi i rapporti coi turisti. L’incontro tra turisti e popolazione locale si può categorizzare in tre momenti specifici: quando i turisti acquistano beni e servizi, quando turisti e residenti condividono gli spazi, quando i turisti si recano attivamente dai residenti in cerca di informazioni. Nel primo caso, la relazione è specificamente mercantile, una serie di atti posti in essere da persone che hanno l’obiettivo di creare un’attività di svago, in cui la comunità è un sistema di affari; negli altri casi, le relazioni saranno differenti in base alle varie comunità che compongono le società complesse, contando le varie tipologie di turisti e i condizionamenti storico- culturali ed economici della società che accoglie. Non si può pertanto prescindere dalle strutture e dai processi sociali: quando la comunità ricevente è più povera di quella d’origine dei turisti, è meno avanzata tecnologicamente e riveste un ruolo secondario sul piano internazionale, la relazione sarà asimmetrica, in quanto la comunità dei fornitori di servizi starà lavorando costantemente per favorire il benessere di chi è solo di passaggio, con pratiche ripetute e consolidate, talvolta fino a diventare meccaniche.

Allo stesso modo, non si può parlare di un turista “generico”, ma appunto di varie tipologie distinguibili in base alle caratteristiche economiche e sociali, con due grandi gruppi principali: coloro i quali viaggiano in forma istituzionalizzata, attraverso agenzie e operatori di massa, e coloro i quali viaggiano con l’obiettivo di allontanarsi dalla moltitudine e organizzano da soli il proprio itinerario. Le relazioni che così si stabiliscono con la comunità ricevente sono essenzialmente asimmetriche, transitorie e caratterizzate dalla ricerca di gratificazioni immediate, anziché la continuità di un rapporto riscontrabile nella clientela abituale. In effetti è proprio questa natura effimera delle relazioni che propizia lo sfruttamento, l’inganno, la disonestà e persino l’ostilità, fra visitatori e popolazione locale, in quanto nessuna delle due parti si sente compromessa con le conseguenze delle proprie azioni. Anche i numeri dell’affluenza turistica in una data comunità comporta cambiamenti nella relazione, con le suddette pratiche meccaniche in cui l’ospitalità, la reciprocità e finanche i sorrisi sono “scenografici”, mentre i turisti perdono di individualità, finendo con l’incarnare lo stereotipo che i residenti hanno in relazione al contesto di origine dei visitatori. La generazione di conflitti, il passaggio da un’iniziale accoglienza all’apatia e talvolta all’ostilità, variano in base a ulteriori elementi quali la visione che la comunità locale ha verso gli stranieri, le esperienze che ha vissuto con stranieri non turisti, la rapidità della trasformazione in luogo di interesse turistico, la percezione dei residenti rispetto ai benefici derivanti dalle attività legate al turismo, nonché dei costi ambientali e sociali, delle conseguenze della competizione per le risorse e l’uso delle infrastrutture, del gradi di distanza socioeconomica tra turisti e popolazione locale.

Risulta piuttosto chiara, a questo punto, la complessità di queste relazioni profondamente contraddittorie, con contatti effimeri e transitori che però generano conflitti di varia natura. L’esperienza fenomenica del turismo ha un grado di imprevedibilità corrispondente alle attività umane che in essa convergono, condizionate da fattori economici e fattori culturali, interessi materiali e le vicissitudini dell’incontro tra identità diverse. Un incontro che rispecchia i caratteri degli esseri umani, portando sempre in sé le due possibilità, le due vie da intraprendere verso mete, e risultati, diversi: la conoscenza, l’accoglienza, l’arricchimento reciproco da un lato, e la chiusura, la diffidenza e lo sfruttamento dall’altro. Non si tratta di effettuare concretamente una scelta in un senso o nell’altro: questa natura relazionale si pone come un dato di fatto, che traccia l’evoluzione del fenomeno turistico.

4. Pratiche per un turismo inclusivo

Alla luce di queste considerazioni sulla natura del turismo, è bene non cadere in una sorta di fatalismo. Spesso si tira in ballo la “natura umana” per affermare l’impossibilità del cambiamento, l’inutilità dell’azione e di ogni altro intervento. Questo atteggiamento implica la morte della ricerca e l’invalidazione di ogni campo di attività, presentando la “natura umana” come una piatta riproposizione di schemi comportamentali venati di automatismo. È vero semmai l’esatto contrario: il turista come soggetto in costante trasformazione e la comunità turistica come insieme di soggetti e infrastrutture sono un campo vivo e cangiante di attività che influenzano proprio quella “natura umana” di cui sono espressione. Per questo l’implemento del turismo, delle sue opportunità economiche e culturali, è possibile quanto più consapevolmente si tengano in conto le difficoltà e le incongruenze che esso comporta.

Una opportunità di particolare importanza è l’inclusione, tanto sul piano dello svago, quanto sul piano dell’educazione sociale. In un recente saggio6, Annamaria Curatola ha esplicato le possibilità del turismo come operazione pedagogica di forte valore etico: la fruizione del tempo libero, il divertimento, è un bisogno individuale e sociale il cui soddisfacimento è direttamente proporzionale alla qualità della vita, assieme alla socializzazione, la crescita culturale, l’assistenza. Lo svago è un diritto della persona e come tale non può che essere di tutti, senza esclusioni; le persone con disabilità o altre condizioni speciali, esattamente come ogni altro individuo, hanno bisogni e aspirazioni riguardo allo svago in maniera non dissimile da quelle per il lavoro, che richiedono di essere soddisfatti con azioni speciali, al fine di garantire parità nella fruizione di questo diritto. Curatola sottolinea le difficoltà oggettive nella soddisfazione di tali bisogni, che in un circolo vizioso derivano e provocano lo scarso interesse alla risoluzione sia negli ambienti pubblici che in quelli privati, lasciando i portatori di disabilità e le altre possibili categorie nella condizione di esclusi dall’ambiente sociale, ossia di emarginazione. Ogni tentativo di inclusione si scontra con problemi di varia natura, che in ambito turistico riguardano spostamenti, movimenti, assistenza, nonché la qualità e l’efficienza dei servizi speciali. In questo caso, il concetto fondamentale è l’accessibilità, che segna l’orizzonte verso cui tendere per garantire a ciascuno la parità di diritti e di doveri, la possibilità di partecipare attivamente alla vita in società; nel turismo, di conseguenza, riguarda l’insieme dei servizi e delle infrastrutture che interagiscono con i disabili, gli anziani, le persone con necessità dietetiche particolari o affette da sindromi e allergie, e si relazionano tra loro per evitare discontinuità e favorire quanto più possibile l’autonomia del turista speciale.

Emerge in questo campo la figura chiave del mediatore turistico, che grazie a una formazione specialistica approfondita e all’esperienza sul campo, può coordinare progetti e risolvere situazioni in corso di svolgimento allo scopo di concretizzare le pratiche di inclusione e integrazione. Il suo ruolo, sociale e formativo, mira a ridurre e abbattere le barriere fisiche e morali che rendono deboli le categorie di persone sopra considerate: dalle barriere architettoniche a quelle culturali, sociali, giuridiche, economiche, per tutelare e valorizzare ogni persona senza distinzioni. La formazione dell’identità personale e sociale passa infatti attraverso esperienze di fruizione di risorse che debbono essere accessibili a tutti, non da ultime le esperienze legate allo svago e al tempo libero. Il quadro teorico-pratico in cui la figura del mediatore turistico si muove può essere definito “turismo per tutti”, corroborato da documenti, rapporti ed enti dell’industria turistica e delle istituzioni pubbliche e private per rivolgere l’attenzione sulla predisposizione di servizi in linea con le esigenze di ogni potenziale cliente, fino all’approvazione da parte dell’ONU della Convenzione sui diritti delle persone disabili, nel 2006, per l’eliminazione di ogni barriera alla partecipazione alla vita sociale, all’attività culturale, allo sport e al tempo libero.

Una possibile difficoltà nel comunicare la specificità delle azioni da compiere per soddisfare i bisogni speciali, rileva Curatola, riguarda la definizione stessa di “bisogno”. Il concetto si presta a un’ampia gamma di accezioni, che non sempre trovano condivisione sul significato: il bisogno può essere identificato con il desiderio, con l’interesse o l’esigenza; può riguardare il denaro, la spiritualità, la psicologia, il sapere. Per ogni accezione si apre un diverso campo di indagine e un diverso contesto. Il punto in comune più diffuso sul concetto di bisogno è in ogni caso la mancanza di qualcosa e la ricerca per sopperire a questa mancanza. Nel turismo, è esattamente quel che attiva la specialità del bisogno, ossia le limitazioni proprie delle persone che, in mancanza di autonomia su determinati aspetti, non potrebbero fruire dell’esperienza turistica; il “bisogno speciale” è dunque la necessità di sopperire alle limitazioni con servizi e infrastrutture adeguate al tipo di assistenza richiesto. Con la definizione chiara del concetto di bisogno speciale, l’accessibilità turistica viene a far parte del quadro più ampio dell’accessibilità sociale, e il turismo stesso implementa il suo valore formativo sulle persone e quindi sulla società, aprendo all’opportunità di sviluppare una pedagogia del turismo inclusivo, in cui le pratiche turistiche rivolte a tutti, senza eccezioni, diventano pratiche di educazione e, in ultima istanza, di cambiamento sociale.

5. Esiste un turismo sostenibile?

La sostenibilità dello sviluppo è il tema di fondo ormai per tutte le attività economiche mondiali, e il turismo non solo non fa eccezione, ma è anche un responsabile indiretto del dispendio di energie e risorse, strettamente correlato alla crescita delle connessioni, delle comunicazioni, degli scambi commerciali e della produzione. Sebbene non sia ancora oggetto di critiche dirette e generale riprovazione (come il riscaldamento globale o le gigantesche perdite di petrolio in mare), né probabilmente arriverà mai a esserlo, il turismo si basa su attività che possono contribuire a diversi problemi ambientali e sociali. Questo aspetto ha acquisito negli ultimi anni un grande interesse per l’industria turistica e, ai fini di questo lavoro, dimostra la compiuta interdipendenza del turismo con ogni altro settore dell’attività umana.

Progresso e sostenibilità sono concetti opposti. La crescente domanda, la costruzione di nuovi alloggi, negozi, centri per convegni, shopping center, parcheggi, locali e ritrovi, che portano all’inquinamento sonoro e al degrado ambientale, sembra inconciliabile con la sostenibilità che si vorrebbe mantenere. Rispetto al passato, comunque, esiste una maggiore consapevolezza da parte degli enti coinvolti nello sviluppo del turismo e lentamente, ma in maniera efficace, questo discorso sta prendendo forma.

In questa sede vale la pena esaminare due possibili significati, o prospettive, dell’idea di sostenibilità, prendendo le mosse dall’opera di Luiz Renato Ignarra7. In base a quanto detto, il primo significato riguarda la sostenibilità ambientale ed economica del turismo, l’uso di mezzi di trasporto e di combustibile, la produzione di rifiuti e inquinamento, le conseguenze della costruzione di infrastrutture; il secondo possibile significato, è la sostenibilità in seno alle comunità locali del gioco domanda/offerta, della preparazione del personale, della fornitura dei servizi, del modo di sfruttare le risorse culturali, storiche e geografiche del territorio, per attrarre i turisti e conseguirne dei benefici.

Rispetto al primo punto, il discorso è inevitabilmente troppo vasto per essere esaminato in tutti i suoi aspetti. Ci limiteremo all’impatto fisico nel rapporto tra turismo e sviluppo. L’alterazione dell’ambiente trascende l’impatto derivante dallo sfruttamento della natura nelle attività turistiche; il riscaldamento globale, il buco nell’ozono, la distruzione e l’inquinamento delle acque e della terra, sono questioni di ampia portata che possono per prime influire sul turismo, in termini di diminuzione delle mete adatte, di aumento dei prezzi dovuto al costo dei combustibili, di perdita di zone paesaggistiche e conseguente disinteresse e insoddisfazione dei viaggiatori. D’altro canto, i trasporti dipendono dal commercio del petrolio, cosicchè la crescita turistica sostiene tale commercio aumentando le estrazioni, il trasporto del greggio e le emissioni; la trasformazione geografica del territorio in aree per il ricevimento dei visitatori influenza la vita selvatica, può riguardare in alcuni casi il disboscamento, in altri l’uso di risorse non disponibili localmente, con tutto ciò che comporta. Altri aspetti di mutua influenza rendono chiaro almeno un punto: l’esperienza turistica non è slegata da aspetti sociali, economici e politici che attuano una pressione enorme sulle vite reali delle stesse persone che viaggiano. Al contrario, ogni discorso educativo che si rifà al turismo, è allo stesso momento un discorso politico e filosofico, che coinvolge weltanschauung complesse e diverse; a partire dall’idea stessa del rapporto tra civiltà e mondo naturale: lo stato di natura possiede un equilibrio intrinseco, ancorché brutale, che garantisce un’adattabilità evolutiva estremamente difficile, invece, alla civiltà costruita su innumerevoli squilibri.

Purtroppo molte comunità turistiche ancora non riescono a produrre norme per il turismo sostenibile, paventando gravi conseguenze per la società, la cui economia si regge sul turismo e non può, non vuole tollerare restrizioni. L’educazione per una politica di rispetto dell’ambiente e il severo sanzionamento di chi infrange tali principi non è ancora praticata in molti paesi, principalmente in quelli dove non esiste, a monte, una politica di controllo. Ultimamente si è assistito, con grande risentimento, alla distruzione vandalica e al disprezzo per monumenti dal valore inestimabile, non solo a causa della guerra, del terrorismo o di disastri naturali, ma in alcuni casi anche per l’incoerenza e l’indifferenza delle persone.

Per quanto concerne la sostenibilità come capacità di produzione del turismo, il fattore culturale è predominante nel prendere coscienza delle opportunità e dei rischi connessi. La consapevolezza delle proprie risorse e del modo di valorizzarle dipende dalla crescita della mentalità locale, dall’integrazione nella vita sociale della comunità, nel contatto con lo spazio e la storia, soprattutto con la storia vissuta nel corso di generazioni, tra famiglie, individui e organismi collettivi. Esistono luoghi in cui si crede che non vi sia nulla da offrire, turisticamente, o perché molto giovani (nuclei creati di recente, come Taverna di Montalto Uffugo), o con una offerta eguale alle aree circostanti (per esempio, vari paesi dei Caraibi: sole, mare, spiagge, stessa storia locale, ecc.; anche, le zone costiere del Nordest del Brasile, virtualmente identiche per migliaia di chilometri). Ciò non è assolutamente vero. La creatività è la chiave: in molte destinazioni si riapprofittano storie e luoghi in altri momenti ritenuti privi di importanza, o si inventano di sana pianta, per attrarre i turisti; negli USA, per esempio, la città di Brandon, Iowa, si è imposta come la città con la più grande padella del mondo, creando un’attrazione turistica dove non ve n’era una. L’offerta nel mondo è grande, ma la differenziazione di essa è l’elemento chiave che avrà la meglio sulle scelte del turista. Differenziare l’offerta, attrae la domanda.

Ulteriori esempi: a San Paolo del Brasile, oltre le innumerevoli opzioni di svago e intrattenimento che la città offre, esistono tre “feste italiane” che attraggono migliaia di turisti, ogni anno, e raccolgono fondi per le opere sociali delle chiese di tre quartieri tradizionalmente di discendenza italiana: la Festa di San Gennaro, nel quartiere Mooca; la Festa di San Vito, nel Bras; la festa della Madonna dell’Achiropita, nel Bexiga. Sono solo alcuni dei numerosi progetti che possono trasformare la vita di una comunità e che un Comune può favorire o cui cooperare; in questa ottica, molte facoltà universitarie in varie città brasiliane lavorano e collaborano con gli enti di turismo delle città, sviluppando progetti e studi per la pianificazione e l’implemento delle attività turistiche. Altro punto importante è dare coscienza e conoscenza all’individuo del valore del suo proprio ambiente. In molte città del Brasile esiste un “turismo educativo” in cui gli alunni della scuola media visitano il municipio, i quartieri, i monumenti, l’acquedotto cittadino: conoscono, in tal modo, come funziona e cosa offre la propria città, diventanto realmente parte integrante di essa.

Una politica di qualificazione della mano d’opera è altrettanto importante. Preparare un nucleo che riceva bene, perché dia tutto il supporto e l’accoglienza necessaria ai visitatori, è prioritario. Quando si tratta di un nucleo nuovo, la soddisfazione del cliente farà tutta la differenza: segnaletica insufficiente, assenza di un depliant (per semplice che sia) e residenti indisposti a fornire informazioni, difficilmente invoglieranno un turista a tornare, o a parlar bene della comunità locale. Esistono per contro luoghi sperduti, dove turisti persi o confusi hanno trovato non soltanto informazioni, ma ristoro e ricovero presso famiglie locali (come ad esempio in Irlanda, dove le host family sono un’istituzione ben nota e radicata). I migliori progetti di sensibilizzazione sono quelli che nascono da ogni strada, ogni quartiere, ogni cittadina: un movimento di coscienza per il riciclaggio e la raccolta differenziata, la pulizia di fronte alla propria casa, il rispetto dei posti per il parcheggio, la gentilezza nel lasciare il proprio posto sui trasporti pubblici, una informazione data con un sorriso, insomma, i piccoli progetti sociali che danno buoni frutti. Perché il turismo è fatto di questo, della quotidianità dell’essere umano fruita in un tempo senza pensieri.

Bibliografia

Barretto M., Produção científica na área de turismo, in Moesch M., Gastal S. (a cura di), Um outro turismo è possível, Editora Contexto, 2004;

Barretto M., Relações entre Visitantes e Visitados: um retrospecto dos estudos socioantropologicos, in AA.VV., Turismo em Análise, Vol. 15, N. 2, Editora Aleph, 2004;

Curatola A., Oltre le barriere. Verso una pedagogia del “turismo inclusivo”, Pensa MultiMedia, 2012;

Ferrari M., Che cosa significa domandare? Dialogo e conoscenza in Paulo Freire, Aracne, 2016;

Freitas M. C., Biccas M., Historia social da educação no Brasil (1926-1996), Cortez Editora, 2009;

Ignarra L.R., Fundamentos do Turismo, Thomson, 2003;

Panosso Netto A., Trigo L.G.G., Reflexões sobre um novo turismo, Editora Aleph, 2003;

Panosso Netto A., Filosofia do Turismo. Teoria e Epistemologia, Editora Aleph, 2005.

Note

1 Aspro critico delle filosofie astratte, Popper riconosceva però alla metafisica un valore creativo che i neopositivisti del Circolo di Vienna negavano risolutamente, in quanto discorso privo di senso. Difendendo la metafisica da quanti volevano “ucciderla lanciandole improperi”, Popper non le concedeva alcuna scientificità, ma sottolineava come il pensiero teorico puro fosse sempre alla base delle più importanti scoperte scientifiche, oggi accettate e verificate. Cfr. Popper K., Poscritto alla logica della ricerca scientifica. Il realismo e lo scopo della scienza, Il Saggiatore, 2009.

2 Cfr. Panosso Netto A., Filosofia do Turismo. Teoria e Epistemologia, Editora Aleph, 2005.

3 Cfr. Barretto M., Produção científica na área de turismo, in Moesch M., Gastal S. (a cura di), Um outro turismo è possível, Contexto, 2004.

4 Cfr. Barretto M., Relações entre Visitantes e Visitados: um retrospecto dos estudos socioantropologicos, in AA.VV., Turismo em Análise, Vol. 15, N. 2, Editora Aleph, 2004.

5 Si veda il saggio di Ferrari M., Che cosa significa domandare? Dialogo e conoscenza in Paulo Freire (Aracne, 2016), cui l’autore si permette di rimandare. La citazione successiva, riportata nel saggio, è tratta da Freire P., Faundez A., Por uma pedagogia da pergunta, Paz e Terra, Rio de Janeiro 1985. La traduzione dall’originale portoghese è del dott. Ferrari.

6 Cfr. Curatola A., Oltre le barriere. Verso una pedagogia del “turismo inclusivo”, Pensa MultiMedia, 2012.

7 Cfr. Ignarra L.R., Fundamentos do Turismo, Thomson, São Paulo 2003.