La dimensione pedagogica dei doveri legali dei genitori verso i figli

Pubblicato in “Il Nodo” (Falco Editore), supplemento al n. 51 (dicembre 2021).

SOMMARIO: 1. La famiglia nella Costituzione, come formazione sociale solidaristica. – 2. La genitorialità come complesso di doveri correlati a diritti. – 3. L’articolazione giuridica dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione. – 4. La convergenza sostanziale dei doveri nell’unitarietà della funzione pedagogica.

1. La famiglia nella Costituzione, come formazione sociale solidaristica.

La definizione della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, contenuta nell’art. 29, primo comma, della Costituzione, può indurre prima facie all’equivoco di ritenere che non possa esservi famiglia se non legittimata da un atto negoziale fondativo, i cui effetti giuridici consistono nella costituzione del rapporto coniugale.

Occorre osservare che, al momento dell’entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948), il diritto di famiglia era disciplinato dal primo libro del Codice civile, che sarà riformato solo nel 19751, contenente una visione gerarchica della famiglia, ispirata al principio secondo cui la comunione di persone in cui essa consiste può essere garantita giuridicamente dalla figura del pater familias. Tanto che l’art. 144 non ancora riformato2 dichiarava solennemente: “Il marito è il capo della famiglia”!

La sopravvenuta Costituzione repubblicana, introducendo il principio dell’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, subisce comunque quel retaggio culturale, ben radicato nella società italiana dell’epoca, al punto da affermarlo “con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”3. Ed ancora, nello stabilire che la legge deve assicurare ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, si preoccupa di aggiungere: “compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”4. Dovendosene ricavare, almeno sul piano semantico, che solo il matrimonio rende la famiglia legittima.

L’evoluzione del costume ed i mutamenti del sentire sociale, di cui l’introduzione del divorzio nel 19705 e la riforma del diritto di famiglia nel 1975 costituiscono esplicazione normativa, hanno condotto al superamento di tale concezione, anche attraverso la legislazione più recente che ha istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato le convivenze6, eliminando la distinzione fra figli legittimi e naturali7. Sicché oggi è pacificamente riconosciuto dalla dottrina giuridica che le diverse accezioni di famiglia, conformate dalle molteplici fonti del diritto interno, sovranazionale e internazionale8, confluiscono in una unitaria nozione di famiglia quale formazione sociale essenziale al pieno sviluppo della persona umana, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione9.

Esistono, dunque, diverse tipologie di famiglia (unione civile, convivenza etero e omosessuale, famiglia ricostituita, bigenitoriale, monogenitoriale, unipersonale, sociale, adottiva) le quali hanno tutte pari dignità rispetto alla “società naturale fondata sul matrimonio” riconosciuta dall’art. 29, primo comma, della Costituzione.

L’unità della famiglia non necessita di un garante gerarchicamente sovraordinato, poiché il collante di questa formazione sociale è il principio di solidarietà che l’art. 2 della Costituzione richiede come adempimento di doveri inderogabili, sul piano politico, economico e sociale, nel momento stesso in cui riconosce i diritti inviolabili della persona umana.

2. La genitorialità come complesso di doveri correlati a diritti.

Il superamento del fenotipo del pater familias, nell’evoluzione della disciplina del diritto di famiglia, ha condotto inevitabilmente alla riformulazione di un concetto normativo funzionale alla concezione gerarchica della comunione familiare: quello di patria potestà10.

L’art. 316 del codice civile, nel testo riformato11, è rubricato “Esercizio della potestà dei genitori”. Con tale norma, in buona sostanza, si è estesa alla madre quella funzione che in precedenza era attribuita al padre, stabilendo che: “Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino alla maggiore età o alla emancipazione12. La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori”. La stessa norma, tuttavia, conserva alla prerogativa del padre l’adozione di provvedimenti urgenti ed indifferibili, qualora i genitori siano in disaccordo, se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, fintanto che non sia il giudice a decidere a quale dei due genitori attribuire il potere di decisione, ritenendolo più idoneo a curare nel singolo caso l’interesse del figlio13.

La riforma del 1975, pertanto, ha applicato il principio di uguaglianza fra coniugi, estendendo ma lasciando intatto il contenuto della potestà, la cui consistenza continuava ad essere individuata in un complesso di poteri cui il figlio minore rimaneva soggetto. Significativa la formulazione dell’art. 318, il cui testo riformato14 afferma: “Il figlio non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la potestà né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare”.

Tale situazione giuridica di “soggezione” del minore deve considerarsi oggi superata, nonostante le norme richiamate siano ancora in vigore, per effetto della lettura costituzionalmente orientata che ne viene prospettata in dottrina, nel senso che essa deve essere intesa come indicativa della durata temporale del potere di rappresentanza che i genitori doverosamente sono tenuti ad esercitare nell’interesse dei figli minori15.

La posizione del figlio minore non è più inquadrata in termini di soggezione all’autorità, paterna prima e genitoriale dopo la riforma. Al principio di autorità si sostituiscono quelli di parità e di solidarietà, che conferiscono alla potestà genitoriale essenzialmente una funzione educativa16, sicché il minore diviene portatore di interessi qualificati e di diritti correlati al complesso dei doveri che formano il contenuto della potestà secondo questa nuova concezione “paidocentrica”.

La genitorialità si qualifica, quindi, soprattutto in termini di responsabilità, ribaltando la posizione del minore, caratterizzata dal minus che subisce la sua personalità prima che abbia a completarsi con l’acquisto della capacità di agire17, nel destinatario dell’adempimento dei doveri genitoriali, intesi non più come i corollari di una potestà giuridica summa di poteri, ma come oggetto di obbligazioni il cui creditore è lo stesso minore. Creditore che ha il diritto di esigerli, pur non avendo la titolarità di un’azione giuridica, in ciò risolvendosi l’avere acquistato la capacità giuridica al momento della nascita senza avere ancora quella di agire normativamente traslata al compimento della maggiore età.

3. L’articolazione giuridica dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione.

Gli artt. 147 e 148 del codice civile inquadrano i doveri verso i figli nell’ambito di obbligazioni a fonte legale, scaturenti dal matrimonio a carico dei coniugi e consistenti nell’obbligo di “mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.

Giurisprudenza e dottrina hanno chiarito che, sebbene le norme facciano riferimento ai figli nati in costanza di matrimonio, la limitazione letterale ai “coniugi” non possa ritenersi produttiva di effetti sul piano dell’interpretazione giuridica, in quanto si tratta di obbligazioni che, in virtù dell’art. 30 Cost., ritrovano fondamento nello status di figlio, che prescinde dal matrimonio e permane anche con il venir meno del vincolo matrimoniale, in caso di scioglimento e di invalidità. L’espressione letterale che si rinviene nell’art. 30 Cost. (“E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”) non consente alla formulazione letterale adottata dal legislatore del codice civile di potere essere interpretata in senso limitativo, poiché una tale interpretazione si porrebbe in contrasto con la norma di rango superiore.

Lo sviluppo della legislazione e, più in generale, della disciplina giuridica in materia di rapporti familiari, per come si è visto divenuta sempre più “paidocentrica”, porta con sé il sotteso principio di “responsabilità per la procreazione”, in applicazione del quale i doveri genitoriali assumono portata illimitata ed indipendente dalle circostanze in cui la nascita è avvenuta e dalla natura, giuridica o di fatto, del vincolo che lega i genitori18. La Corte costituzionale ha precisato che, al fine di garantire un trattamento identico alla prole, non è necessaria una norma esplicita, dal momento che “la regula iuris è immanente al sistema e si ricava per via interpretativa applicando il principio di responsabilità genitoriale”19.

Ciò posto, occorre avere attenzione ai contenuti dei tre doveri elencati nell’art. 147 cod. civ. (mantenimento, istruzione, educazione), avendo riguardo all’assetto normativo che porta a distinguerli, quanto meno rispetto alla titolarità di interessi e diritti che viene a differenziarsi fra figli minorenni (i quali ne sono titolari, ma non possono agire per ottenerne l’adempimento) e figli maggiorenni (i quali, invece, sono dotati anche della capacità di agire per ottenerlo). I primi si qualificano come creditori che necessitano del comportamento responsabile dei genitori, tenuti all’assolvimento dei propri doveri, laddove i secondi vanno riconosciuti come creditori dotati di azione verso i genitori, non più genericamente responsabili, ma debitori a tutti gli effetti.

Il dovere di mantenimento implica la somministrazione dei mezzi sufficienti a soddisfare le normali esigenze di vita del figlio, conformemente alle condizioni patrimoniale della famiglia20. Il suo contenuto è più ampio dell’obbligo di alimenti21, non essendo limitato al soddisfacimento di dei bisogni elementari di vita, ma comprendendo ogni altra spesa necessaria per sviluppare ed arricchire la personalità dei figli, quali le spese per un’abitazione adeguata, quelle sanitarie, scolastiche, sportive, ricreative, sociali22. Esso non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura finché non si sia completato il processo formativo che consente il raggiungimento dell’indipendenza economica23, salvo che tale mancato raggiungimento non dipenda da colpevole atteggiamento del figlio24 e fin quando egli contragga matrimonio, nel qual caso su quello dei genitori prevale l’obbligo di assistenza gravante sul coniuge25.

Con riferimento all’obbligo di istruzione, i doveri e le responsabilità dei genitori coesistono con quelli dello Stato26, cui spetta il compito di predisporre le strutture per consentire ai genitori di provvedere ai loro obblighi, nonché di vigilare sul loro corretto adempimento27.

Il dovere di educazione, che sconta l’assenza di indicazione da parte del legislatore dei fini verso i quali deve tendere, viceversa riceve dall’art. 148 cod. civ. precise indicazioni sulle modalità dell’adempimento, stabilendo testualmente la norma che i genitori devono tenere conto “delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli”. Modalità che viene riferita anche all’adempimento dell’obbligo di istruzione e che tuttavia, a differenza di quanto la giurisprudenza si è visto ritenere per quest’ultimo, non può perdurare oltre il compimento della maggior età. La giurisprudenza, infatti, è orientata a negare l’esistenza di un diritto dei genitori di contrastare le scelte ideologico-culturali, ma tale negazione, che assume rilievo rispetto ad entrambi i doveri nei riguardi dei figli minori28, si divarica nei riguardi dei figli maggiorenni, per i quali la responsabilità genitoriale permane nei termini anzidetti per il dovere di istruzione, ma cessa per quello di educazione29.

4. La convergenza sostanziale dei doveri nell’unitarietà della funzione pedagogica.

L’organicità del processo educativo tra l’ambiente familiare e l’istituzione scolastica si è venuta articolando nel corso degli anni attraverso la costruzione, al contempo concettuale e pratica, della corresponsabilità educativa.30 Se la cura dei figli è compito primario dei genitori, la loro formazione come persone e futuri cittadini è un compito complesso, in cui quella stessa cura deve essere estesa nella complessità della vita sociale. La scuola e il corpo docente non incontrano gli alunni come entità a sé stanti, ma in quanto soggetti coinvolti in relazioni familiari; ossia, la scuola incontra la famiglia nell’ambito sociale e affettivo, un ambito in cui entrambe le istituzioni convergono necessariamente sull’obiettivo della cura, della formazione e della crescita delle nuove generazioni. Questa convergenza è dettata da questioni socio-politiche di largo respiro, che nella loro globalità incidono fortemente anche sulle comunità locali. La crescente multiculturalità della società italiana pone infatti diversi obiettivi sui puntare: la preparazione delle prossime generazioni a un mondo sempre più complesso e dinamico, aperto all’alterità, in contrapposizione all’identità “chiusa” propria degli Stati-nazione; la costruzione del dialogo interculturale, al fine di superare atteggiamenti basati sul pregiudizio e l’incomprensione reciproca tra famiglie italiane e famiglie straniere migranti; lo stimolo a trasformare la scuola in un luogo di produzione ed elaborazione del sapere, oltre che della sua trasmissione, verso uno sperimentalismo inteso come costante del processo di insegnamento-apprendimento. In tal senso, la figura del docente assume un ruolo ancor più complesso che in passato, ampliando la sua capacità comunicativa dal rapporto con gli allievi al dialogo con altre figure adulte, dotate di differenti responsabilità – in primis, appunto, i genitori.

È importante sottolineare il fatto che il coinvolgimento delle famiglie nel processo di formazione dei giovani è imprescindibile, non solo per la scuola, ma per la stessa istituzione familiare. Il principio di inclusione è infatti l’idea-cardine su cui ruotano tutte le pratiche didattiche concrete, elaborate per superare l’integrazione (basata sull’inserimento e l’accoglienza dei soggetti all’interno di un gruppo) e raggiungere l’obiettivo di un ambiente già predisposto al coinvolgimento di ogni ragazzo e ragazza, qualunque siano le loro condizioni specifiche, dalle disabilità alle necessità linguistiche o economiche. Un compito regolato da specifici documenti e pratiche didattiche, tra cui il «Patto educativo di corresponsabilità»31 rappresenta lo strumento di base della collaborazione tra scuola e famiglia. Tale documento viene firmato dai genitori e dagli studenti al momento dell’immatricolazione nella scuola secondaria di primo grado; in esso sono specificati in modo chiaro comportamenti e modalità di partecipazione alla vita scolastica, in modo da definire diritti e doveri nel rapporto tra famiglie, discenti e istituzione scolastica. L’elaborazione e la revisione del patto, condivise tra i soggetti coinvolti, sono disciplinate secondo i regolamenti di ogni singolo istituto, che pone in essere le condizioni idonee a svolgere le attività scolastiche in linea con quanto stabilito.

La ratio del Patto consiste nel tentativo di superare le endemiche difficoltà di comunicazione e comprensione tra docenti, genitori e studenti, stabilendo regole chiare e condivise per garantire la partecipazione di tutti alle decisioni messe in atto. Tale è l’inclusione nel suo primo esplicarsi. I diritti e i doveri di ogni soggetto sono pertanto espressi secondo criteri che, per quanto particolari in ogni documento, sono in effetti generali nella loro concezione: gli studenti hanno diritto a una valutazione chiara e al rispetto della propria persona e della propria espressione, così come hanno il dovere di impegnarsi a frequentare con profitto e rispettando gli orari; i genitori hanno il diritto-dovere di partecipare alle riunioni di classe, di seguire i propri figli incoraggiandoli a impegnarsi negli studi, senza parteggiare a priori per loro o sostituirsi all’autorità dei docenti, ma collaborando alla buona riuscita degli studi e al rispetto dell’ambiente scolastico; i docenti devono valutare in maniera obiettiva gli studenti, riportare correttamente le informazioni riguardanti le lezioni, segnalare pericoli o abusi, essere puntuali e coinvolgere le famiglie per ogni questione concernente i figli, coadiuvati in questo dalla Presidenza.

Due aspetti vengono messi in risalto nel 2009, con la pubblicazione del Quaderno del Patto di corresponsabilità educativa32: innanzitutto, la necessità che genitori, studenti e docenti concorrano tutti alla creazione di uno stile comportamentale idoneo affinché l’ambiente scolastico, in quanto spazio operativo condiviso, sia il migliore possibile, inclusivo e partecipativo; poi, come naturale conseguenza, che la rottura dello schema di regole stabilito porti a sanzioni disciplinari adeguate all’infrazione, dall’allontanamento dello studente al risarcimento da parte della famiglia per danni o lesioni. Questo doppio aspetto della corresponsabilità non è dovuto solo a interessi pedagogici, volti alla trasformazione del rapporto tra scuola e famiglia in una nuova identità interattiva, se non addirittura «simbiotica», tra le due istituzioni. È frutto di una emergenza sociale tipica del primo decennio del secolo, con la rapida e drammatica diffusione nelle scuole di atti di bullismo tra studenti, aggressioni verbali e fisiche di genitori verso insegnanti, vandalismo ai danni degli edifici scolastici. Si tratta cioè di un forte richiamo alla responsabilità genitoriale, alla disciplina scolastica e alla maturazione studentesca, superando però le sterili e antiquate azioni repressive, in favore di una cooperazione costruita sul dialogo tra soggetti spesso troppo lontani dalle logiche delle rispettive controparti.

D’altro canto, l’unitarietà della funzione pedagogica vede convergere la famiglia e la scuola anche al di là dell’urgenza sociale. Sia concesso concludere questo intervento con una citazione del pedagogista sovietico A. S. Makarenko, che in altri tempi e luoghi, con altre situazioni sociali, scriveva a proposito dell’educazione culturale dei figli:

«Si sbagliano quei genitori i quali pensano che impartire una vera educazione culturale sia dovere della scuola e della società, e che la famiglia non possa far nulla in questo campo. Talvolta si trovano delle famiglie che rivolgono maggiore attenzione al nutrimento del ragazzo, ai suoi abiti, ai suoi giochi, e nel contempo sono convinte che sino all’età scolastica il bambino debba divertirsi, raccogliere forza e salute, perché soltanto a scuola egli si accosterà alla cultura. In realtà, la famiglia non solo ha il dovere di cominciare al più presto l’educazione culturale, ma possiede, ha a sua disposizione per tale scopo maggiori possibilità, che deve perciò utilizzare nel modo migliore. L’educazione culturale in famiglia è una cosa non difficile, ma è giusta soltanto nel caso in cui i genitori non pensino che la cultura serve soltanto al bambino, che l’educazione delle abitudini culturali costituisce semplicemente un loro dovere pedagogico. In una famiglia in cui gli stessi genitori non leggono giornali, non leggono libri, non vanno a teatro o al cinema, non si interessano alle esposizioni, ai musei, è naturalmente assai difficile educare dal punto di vista culturale un ragazzo. In questo caso, per quanto i genitori si sforzino, nei loro sforzi vi sarà molto di artificioso e di insincero, il bambino se ne accorgerà subito e capirà subito che non si tratta di una cosa molto importante. E, al contrario, in una famiglia in cui gli stessi genitori vivono una vita culturale attiva, in cui il giornale e il libro rappresentano elementi indispensabili, in cui i problemi del teatro, del cinema interessano tutti, l’educazione culturale avrà luogo anche quando i genitori non vi pensano. Non se ne deve trarre naturalmente la deduzione che l’educazione delle abitudini culturali possa aver luogo spontaneamente […] l’educazione culturale è utile soltanto quando essa sia organizzata coscientemente, venga accompagnata da un certo piano, da un metodo giusto e dal controllo»33

Bibliografia

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Note

1 A seguito di un processo lento e travagliato sfociato nella legge 19 maggio 1975, n. 151.

2 Il nuovo testo, introdotto dall’art. 26 legge 19 maggio 1975, n. 151, si esprime nel senso che “I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato”.

3 Art. 29, secondo comma Cost.

4 Art. 30, terzo comma, Cost.

5 Con legge 1 dicembre 1970, n. 898, che ha superato indenne il controllo di legittimità costituzionale e, soprattutto, il giudizio referendario del 1974, indetto per chiederne l’abrogazione.

6 Legge 20 maggio 2016, n. 76.

7 Legge 10 dicembre 2012, n. 219, e decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, di riforma del diritto della filiazione.

8 Con la riforma del titolo quinto della Costituzione, l’art. 117 della Carta fondamentale riconosce il pluralistico assetto che le fonti hanno assunto, non solo nell’articolazione del potere legislativo interno tra Stato e Regioni, ma anche con la previsione “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

9 Cfr. Perlingieri P., Manuale di diritto civile, ESI, Napoli, 2021, p. 997.

10 La dottrina giuridica anteriore alla riforma del diritto di famiglia ne definiva il contenuto come un insieme di poteri connessi all’esercizio del dovere del capo famiglia: v. Cicu A., Lo spirito del diritto di famiglia nel nuovo codice civile, in Rivista di diritto civile, 1939; ma anche, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, Trabucchi A. , Istituzioni di diritto civile, Cedam, Padova, 1973, p. 258 seg.

11 Dall’art. 138 legge 19 maggio 1975, n. 151.

12 Possibile dopo il compimento del sedicesimo anno qualora il minore, col consenso dei genitori, contragga matrimonio.

13 Disposizione ritenuta di dubbia costituzionalità da Bianca C.M., Diritto civile, vol. 2.1, Giuffrè, Milano, 2017, p. 333 seg., e Ruscello F., La potestà dei genitori, Giuffrè, Milano, 2006, p. 208 seg.

14 Dall’art. 141 legge 19 maggio 1975, n. 151.

15 In tal senso, v. Furgiuele G., Libertà e famiglia, Giuffrè, Milano, 1979, p. 234.

16 Cfr. Vercellone P:, La filiazione legittima, naturale, adottiva e la procreazione artificiale, Utet, Torino, 1987, p. 364 seg.

17 Se la capacità giuridica, che caratterizza l’esistenza stessa della persona, si acquista al momento della nascita (art. 1 cod. civ.), la capacità di agire, che completa la personalità, si acquista al compimento della maggiore età (art. 2 cod. civ.).

18 Cfr. Perlingieri P., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Esi, Napoli, 2020, p. 944; SESTA M., Genitori e figli tra potestà e responsabilità, in Rivista di diritto privato, 2000, p. 219.

19 Si veda la sentenza 21 ottobre 2005, n. 394.

20 Cfr. Cass. 19 maggio 2009, n. 11538.

21 Art. 433 cod. civ.

22 In tal senso, v. Cass. 19 marzo 2002, n. 3974 e Cass. 8 novembre 1999, n. 11025.

23 vedi sentenze della Cassazione: 24 settembre 2008, n. 24018, 20 maggio 2006, n. 11891, 18 gennaio 2005, n. 951, 3 aprile 2002, n.4765, 16 febbraio 2001, n. 2289.

24 Cass. 24 settembre 2008, n. 24018.

25 Art. 143 cod. civ.

26 Art. 34 Cost.

27 In tal senso, in dottrina, Cossu C., Potestà dei genitori, voce del Digesto Italiano, Utet, Torino, 1998, p. 121; Villa G., Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Bonilini G. – Cattaneo G., Il diritto di famiglia, Utet, Torino 2007, p. 271 seg.

28 Cfr. Stanzione P., Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, in Rassegna di diritto civile, 1980, p. 452.

29 La giurisprudenza della Cassazione chiarisce che la responsabilità civile dei genitori per “culpa in educando” sussiste, a norma dell’art. 2048 cod. civ., per i soli figli minorenni.

30 Si consiglia a tal proposito Pati L., Dusi P. (a cura di), Corresponsabilità educativa. Scuola e famiglia nella prospettiva multculturale: una prospettiva europea, editrice La Scuola, Brescia 2011.

31 Si veda l’art. 3 del DPR 21 novembre 2007, n. 235: Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (GU Serie Generale n.293 del 18-12-2007).

32 Reperibile in Internet, in formato pdf, al seguente indirizzo: https://archivio.pubblica.istruzione.it/mpi/pubblicazioni/2009/allegati/quaderno_corresponsabilita.pdf

33 Makarenko A.S., Consigli ai genitori, Associazione Italia-URSS “Noi Donne”, Roma 1950, p. 90-91.