25 Aprile e coscienza civile. Una riflessione
Antifascismo nel 2024. C’è chi sostiene che non abbia senso, oggi, continuare con la contrapposizione tra fascismo e antifascismo, perché i componenti dell’attuale governo non sono minimamente paragonabili al fascismo-regime, né nel male (non c’è quello stesso tipo di violenza, di coercizione, di compressione delle libertà costituzionali), né nel bene (cooptazione di personaggi di alto livello nel governo). Quindi, dichiararsi antifascisti in contrapposizione ai cialtroni di oggi1, così come pretenderne dichiarazioni pubbliche di antifascismo, sarebbe una cosa da “far ridere i polli” – parole del giornalista Marco Travaglio, tra gli altri2.
Ora, se la questione viene impostata sul fascismo storico, inteso come regime dittatoriale totalitario sorto dalla temperie post-bellica, evolutosi tra gli anni Venti e Trenta e finito nella guerra successiva, ebbene, posso anche concordare sull’obiezione di fondo. Non tornerà, certo non in quelle forme, poiché non esistono le stesse condizioni storico-sociali per quel tipo di esperienza (con buona pace dei nostalgici).
Non concordo affatto, però, sul derubricare in toto la contrapposizione, nel momento in cui essa si sposta sul piano culturale, della memoria storica e dei valori etici e costituzionali. In questa ottica, l’antifascismo è invece la componente fondamentale, essenziale, dei valori democratici. Parafrasando Pertini3, il fascismo non è un’opinione, bensì la negazione di tutte le opinioni; non ha dunque diritto di cittadinanza nella società democratica – a differenza di visioni conservatrici che sono legittime finché consentono il dibattito nel consesso civile.
Quando, perciò, si ridicolizza la contrapposizione tout court, c’è sempre chi se ne approfitta per appiattire tutto sul discorso pseudo-liberale degli “opporti estremismi” che si equivalgono. In questa zona grigia, prospera l’indulgenza verso il fascismo storico, che si traduce in indulgenza verso l’ethos antidemocratico che ispira. Ciò si unisce a un sostrato di memorie familiari tramandate nel privato, lungo gli anni dal dopoguerra fino all’arrivo di Berlusconi nel 1994, per cui nella dittatura “in fondo si stava bene”, “soffriva solo chi voleva ribellarsi” e così a seguire tutta la vulgata del “Mussolini ha fatto anche cose buone”, a giustificazione infine della violenza e della repressione4.
Basta vedere l’atteggiamento dell’opinione pubblica di fronte a migranti e “diversi” in generale, con rivendicazioni identitarie di chiusura, esclusione ecc.: più si dà corda ai sentimenti di rabbia e odio, più il fascismo concettuale diventa appetibile, tollerabile. Non per una nuova dittatura, ripeto, bensì per una svolta conservatrice che metta definitivamente all’angolo l’antifascismo come posizione critica, da cui far derivare la concezione di patria moderna. Perché una patria antifascista è, tra alti e bassi, una patria aperta, accogliente, integrante, tollerante; una patria dove si accettano stili di vita diversi, si criticano i modi di organizzare il lavoro e la distribuzione della ricchezza, si allarga l’idea di famiglia, si prova a trovare soluzioni alternative al carcere e all’espulsione. Perciò, con quel tipico cortocircuito di idee e salti logici dei reazionari di ogni sorta, la “donna, madre, cristiana” sente che gli Altri, con il loro stile di vita diverso, le “vogliono togliere” la sua essenza (che sarebbe per lei quella naturale e giusta) e, dunque, deve difendere ciò che ha togliendolo agli Altri.
Per questo modello di intolleranza conservatrice, è necessario minare alla base lo spirito aperto della Costituzione e dei valori che costituiscono il grande ombrello dell’antifascismo, dal socialismo al cristianesimo al liberalismo (quello vero, che in Italia non c’è più, scomparso assieme a Giustizia e Libertà). E questo minare alla base si snoda attraverso sdoganamenti, riabilitazioni e denunce di fatti gravi, ma spesso decontestualizzati e travisati, della storia repubblicana. Se a Berlusconi va il merito di aver riportato in auge la destra italiana, che per decenni è stata relegata all’insignificanza parlamentare, il sostrato culturale su cui questa ribalta è stata garantita poggia sul revisionismo storico non solo rispetto al fascismo degli anni Trenta, ma anche rispetto allo stato-fantoccio della RSI, perché è lì, nelle pieghe della guerra interna, che si trova tutta la storia della Resistenza e la legittimazione antifascista della Costituzione.
Così, eventi oggettivamente terribili come Piazzale Loreto, Porzus, Via Rasella, rappresaglie contro chiunque avesse appoggiato il nazifascismo in qualunque modo ecc., diventano episodi a sé stanti, decontestualizzati e appiattiti sulla propaganda politica contingente, dando così adito a parallelismi scorretti ed equiparazioni indebite, dove il “sangue dei vinti” serve a lavare quello dei colpevoli, e le memorie familiari sui treni in orario e le paludi bonificate contribuiscono a scaricare tutta la responsabilità degli eccidi e delle torture sui soli nazisti. Da qui, basta poco per andare a ritroso nel tempo e continuare a negare o a nascondere i crimini nelle colonie africane, il razzismo diffuso ben prima delle famigerate leggi, persino lo squadrismo, la repressione del dissenso, la gravità del confino.
Qui si inserisce, per esempio, l’anniversario dell’uccisione di Giovanni Gentile, su cui mi propongo di sviluppare una riflessione a parte. L’agguato, a opera di alcuni partigiani dei GAP, viene presentato come la riprova che i partigiani erano uguali ai nazifascisti e perciò non avessero alcuna morale superiore; dal che consegue che l’antifascismo non ha alcun potere legittimante e che gli odierni nazionalisti conservatori, se hanno simpatie per il Ventennio, hanno diritto non solo costituzionale, ma addirittura etico, di rivendicare un’opinione sul passato. “Opinione” che, guarda caso, tende a legittimare l’esclusione, la censura, la chiusura, il rifiuto delle pluralità.
Per questo non condivido la derubricazione della contrapposizione fascismo-antifascismo, dal momento in cui non ci si rende conto che non è affatto necessario un “regime”, un governo che irreggimenta con divise, stivali e passo dell’oca, per ritrovarsi in una società autoritaria e intollerante dal punto di vista culturale. Per “cultura” intendo proprio l’insieme di mentalità, valori, opinione pubblica, gestione delle informazioni ed elaborazione collettiva delle stesse, che in ultima analisi si esprime in una percezione di sé come di una società tendente all’esclusione.
Abbiamo forse dimenticato come la Repubblica democratica attuava, negli anni Cinquanta e Sessanta in particolare, la censura preventiva e condannava anche per vie traverse ogni differenza reputata minacciosa per un corpo sociale da mantenere omogeneo? All’epoca eravamo ben lontani da un progresso che non fosse meramente economico. Oggi non abbiamo nemmeno quello, mentre la cultura reazionaria porta al successo in TV personaggi gretti, in quanto rescinde contratti con intellettuali di valore. Spesso, in nome di una “equità” assolutamente squilibrata.
Nel 2024 ricorre anche il centenario dell’omicidio di Giacomo Matteotti, il deputato socialista strenuo avversario dell’autoritarismo fascista, rapito e ucciso dagli squadristi e divenuto vittima sacrificale per la nascita della dittatura. Cerchiamo di non dimenticare nemmeno lui.
Note
- Detto con intento satirico nel solco di Guzzanti e del suo personaggio di Fascisti su Marte, il gerarca Gaetano Maria Barbagli. ↩︎
- Giornalista che apprezzo per la sua precisione investigativa e soprattutto perché stimola a riflettere con le sue posizioni nette e non sempre condivisibili; consiglio l’intervista per il canale YouTube Breaking Italy (il discorso sulla inutile contrapposizione attuale tra fascismo e antifascismo oggi si può ascoltare a partire da 1:07:07). ↩︎
- In una famosa intervista, il Presidente diceva precisamente: “Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica. Sembra assurdo quello che dico, ma è così. Il fascismo, a mio avviso, è l’antitesi delle fedi politiche. Il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche. Non si può parlare di fede politica parlando del fascismo, perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui. Chi non era fascista era oppresso e quindi non si può parlare di vera fede politica a chi opprime le fedi altrui. Io combatto, ma sul terreno democratico”. ↩︎
- Su questo consiglio il saggio di Francesco Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2019. ↩︎