La corazzata Potëmkin
Oggi parliamo de La corazzata Potëmkin, di Sergej M. Ejzenstejn (URSS, 1925).
Immagino che chiunque conosca questo titolo per la celebre scena de Il secondo tragico Fantozzi, quando il ragioniere, esasperato dalle ripetute, infinite visioni del film, imposte dal potentissimo e sadico direttore cinefilo Guidobaldo Maria Riccardelli, esplode dicendo “Per me La Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!”, seguito da 92 minuti di applausi.
Ma cosa si sa del film originale? Intanto sottolineiamo un paio di discrepanze: il film, contrariamente a ciò che si evince dalla commedia di Fantozzi, ha una durata persino inferiore alla media attuale, infatti è di circa 75 minuti; poi, non è solo il titolo ad essere differente (“Potiomkin” – o “Potëmkin”, a seconda del criterio che si preferisce per la traslitterazione dal cirillico, su cui rimando a una brevissima nota in fondo – anziché “Kotiomkin”) ma anche il nome del regista, che da Ejzenstejn diventa Einstein. Le scene che si vedono nel cinema, infine, non sono originali. Suppongo che al fondo di tutto vi fosse una questione di diritti cinematografici sull’uso di nome e immagini, pertanto che quelle mostrate siano state girate apposta per la commedia di Salce. Anche la colonna sonora non ha nulla a che vedere con l’originale, tra l’altro oggetto di varie versioni di diversi compositori, Shostakovic tra i più famosi.
Tornando alla Corazzata, per un classico assoluto come questo ci sarebbe tanto da dire, ma eviterò di tentare pericolose acrobazie interpretative; posso solo parlare di ciò che ho sentito io, in particolare la prima volta che vi assistetti. Prima però la trama, per capire bene di cosa si tratta: nella Russia del 1905, anno di grandi tumulti e fermenti rivoluzionari, su una corazzata ancorata nel porto di Odessa scoppia la protesta dei marinai per le condizioni di vita a bordo ed il modo in cui vengono trattati. La protesta è punita col sangue dagli spietati ufficiali; all’ingiustizia, l’equipaggio risponde con una rivolta, appropriandosi della nave. La cittadinanza di Odessa sostiene i marinai, ma intervengono i soldati dello zar, che sparano sulla folla radunatasi sulla scalinata che conduce al porto, compiendo un massacro. Nemmeno questo intervento riesce a sedare la rivolta, così intervengono le altre navi della flotta, che si dirigono verso il porto di Odessa per fermare la Potëmkin. L’equipaggio ribelle non vuole arrendersi e tutto sembra andare verso la fine peggiore, ma incredibilmente il resto della flotta si ferma e, dando appoggio ai marinai in rivolta, li lascia fuggire dal porto.
La storia è ispirata ad una vicenda realmente accaduta (però finita male) e il film fu commissionato direttamente dal Cremlino. E’ certamente un film d’altri tempi e non tutti oggi possono apprezzarlo; ma alcune scene, in particolar modo il massacro sulle scalinate, sono veramente strazianti: la madre che scende in fretta per le scale e non si accorge del figlio piccolo caduto, che viene calpestato dalla folla che scappa, ma poi sente le grida del bambino, allora si gira e lo vede morto, e urla, e si strappa i capelli, e inveisce contro i soldati reggendo il figlio tra le braccia, mentre intorno è follia pura, terrore, morte, sangue… potete non credermi, ma solo a ricordarmelo, persino dopo anni, mi vengono i brividi. E’ una scena terribile. Ho visto tutto l’orrore, tutta l’angoscia e la disperazione di una madre che perde il figlio. Sì, proprio il famoso “occhio della madre” è una inquadratura dalla forte potenza espressiva, che se non sbaglio si basa su una tecnica elaborata da Ejzenstejn per colpire il pubblico con la cruda e immediata rappresentazione di immagini forti, allo scopo, appunto, di trasmettere emozioni profonde. Data l’epoca del film, si tratta di una innovazione cinematografica sperimentale rivoluzionaria, destinata ad avere influenza su tutto il cinema successivo a livello internazionale.
Il montaggio (non saprei dire se analogico o meno) raggiunge alti livelli espressivi, divenendo in se stesso linguaggio attraverso la presentazione frenetica di immagini in rapida successione, cercando di raccontare gli eventi non in una sequenza temporale bensì in contemporanea, senza soluzione di continuità tra una violenza e l’altra. Altre scene lasciano spazio a un simbolismo surreale eppure efficacissimo, una su tutte quella del leone di pietra: una statua che rappresenta un leone dormiente si “sveglia” ai suoni della rivolta, apre gli occhi e infine si alza in piedi; non c’è animazione bensì una rapida sequenza, immagini di rivolta – leone dormiente – immagini di rivolta – leone sveglio che guarda verso il porto – immagini di rivolta – leone in piedi sempre volto al porto. L’unico modo di sentirne la potenza espressiva è assistervi.
Infine, un altro accenno al giudizio fantozziano che ancora oggi fa proseliti, senza però che vi sia un clima culturale adatto a giustificarlo come all’epoca della commedia di Villaggio (la cui visione, oggi pomeriggio, mi ha indotto a rispolverare queste vecchie considerazioni). Questo film è un simbolo non solo e non tanto del cinema di propaganda, quanto soprattutto del cinema d’autore, sperimentale e artistico, non di massa, non di intrattenimento. Eppure neanche scioccamente elitario, come l’intento propagandistico dell’opera presuppone. Il guaio è che siamo circondati non solo da tanti piccoli Guidobaldo Maria Riccardelli, che usano la cultura come un’arma e lo snobismo come filosofia di vita, aiutando a far crescere l’antipatia per l’espressione artistica, ma anche da molti “filistei” di un’ignoranza crassa e orgogliosi di esserlo, per colpa dei quali a una buona critica dell’elitarismo culturale si va sostituendo il degrado e la superficialità vanesia. Si tratta di due opposti estremi, naturalmente, la cui influenza è però così forte in un senso o nell’altro da acuire la divisione e lo scontro, rendendo difficilissima una cosa altrimenti naturale, la convivenza di cultura e intrattenimento, senza snobismi di segno diverso e uguale sostanza. Io stesso ho avvertito un certo peso nelle discussioni sul cinema avute negli anni, come se dovessi stare attento alle critiche e giustificare sempre ciò che non era considerato accettabile; però il lato buono è stato di iniziare a chiedermi perché un determinato film mi piacesse, motivando le sensazioni che mi facevano dire semplicemente “è bellissimo” o “fa schifo”. Questo è secondo me il senso vero di un cineforum, non sfoggiare erudizione né concordare ideologicamente su giudizi prestabiliti. Oggi non c’è più liberazione nel dire che la Corazzata “è una cagata pazzesca”, perché si può anche pensarla così, ma solo motivando sinceramente il disprezzo per un film che nessuno, oggi, si sogna più di imporre.
Io mi limito a consigliarlo. Non ci si rimette nulla, ma probabilmente ci si può guadagnare qualcosa.

Nota – In cirillico, la lettera ë si pronuncia “iò”; la traslitterazione varia a seconda dei metodi usati, ma l’unico errore da evitare è di trasformarla in una semplice e, come spesso vedo succedere col nome del grande scrittore, Fëdor Dostoevskij.
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Il film, peraltro, compie 100 anni, perciò vale la pena recuperarlo: