A proposito di Gentile

La figura di Giovanni Gentile è, forse, tra quelle più controverse della cultura italiana del Novecento. Campione del pensiero liberale nell’Italia di fine Ottocento, divenne il più autorevole intellettuale a dare supporto al fascismo, costruendone le basi dottrinarie, a cominciare dal Manifesto degli intellettuali italiani fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni, laddove il movimento (e poi il partito) si alimentava soprattutto di simboli, slogan e prassi violente. Fu autore, assieme a Giuseppe Lombardo Radice, di una delle più importanti riforme della scuola italiana, con un impianto che è rimasto influente, nei suoi tratti fondamentali, fino a oggi; nella sua forma iniziale, impresse una visione fortemente conservatrice all’educazione, per non dire oppressiva, rendendola strumento di selezione sociale gerarchica e corporativa, sebbene vi si trovasse anche la prima spinta all’inserimento nelle scuole dei bambini con disabilità (estensione dell’obbligo scolastico ai bambini ciechi e sordomuti) e fosse comunque la riforma organica di un sistema scolastico fermo alla legge Casati.

Oltre a ciò, Gentile ebbe un ruolo preponderante nella più generale strutturazione della cultura italiana sotto il regime, con la direzione di istituzioni ancora oggi prestigiose, dall’Accademia dei Lincei alla Scuola Normale di Pisa, all’Enciclopedia Italiana dell’Istituto Treccani. Dal punto di vista filosofico potrebbe ascriversi alla Destra hegeliana, per la sua ripresa dell’idealismo tedesco, ma rinnovandone l’impianto generativo della realtà: il neoidealismo italiano, che lo vede protagonista assieme a Benedetto Croce, resta un momento di alta produzione filosofica, pur essendo ormai rientrato nella storia. La versione antimaterialista di Gentile, con tutta la sua profondità concettuale, segna comunque un passo indietro rispetto al pensiero dell’epoca, invece aperto al progresso scientifico e incline alla critica spregiudicata dell’esistente.

Figura controversa, quindi, ma non contraddittoria, non nel senso logico del termine: la lettura diretta del suo pensiero filosofico e politico, attraverso saggi e articoli, offre molte occasioni di chiarimento sullo sviluppo coerente delle sue posizioni; tanto da spingerlo ad appoggiare il fascismo anche nell’ultima parte della guerra, nella tragedia repubblichina. Stato etico, sviluppo dinamico dell’Idea nella Storia, filosofia come vita spirituale – l’attualismo aggiorna e promuove, in modo teoretico e pratico, ciò che fu la “destra” hegeliana.

Nel 2023 si sono tenuti numerosi convegni per il centenario della Riforma della scuola; in questo aprile 2024, è ricorso poi l’ottantesimo anniversario dell’uccisione del filosofo, un evento altrettanto controverso e divisivo, in quanto perpetrato da alcuni partigiani nel quadro delle rappresaglie e dei combattimenti nella RSI. Non credo di poter contribuire alle discussioni su questi temi in maniera valida, ma non posso neanche esimermi dal dire qualche parola su un personaggio che a suo modo mi affascina e con cui ho avuto modo di confrontarmi, seppure limitatamente, rispetto ai miei studi su Paulo Freire.

Due posizioni pedagogiche fondamentali mi hanno colpito in Gentile: la visione della relazione educativa tra docente e discente, e la critica della frammentazione del sapere. Me ne sono interessato, tra le altre occasioni, nel mio Educazione e democrazia in Paulo Freire (Guida editori, 2021), di cui riporto alcuni brani.

In effetti, la critica della frammentazione del sapere va declinata come idea dell’unità della cultura, in senso filosofico. La posizione gentiliana è rivolta alla critica della Scuola Nuova e di tutte le pedagogie che, a cavallo tra XIX e XX secolo, stavano rinnovando il concetto di educazione con l’assunzione di metodi propriamente scientifici, quindi privilegiando l’analisi sulla sintesi, la sperimentazione sulla conoscenza teorica, la specializzazione dei saperi e delle materie sulle visioni organiche della conoscenza. Questa critica ha almeno due aspetti da tenere in considerazione: il primo è il conservatorismo relativamente religioso nel concetto di educazione; il secondo, che mi interessa di più, è la tendenza attuale a separare indebitamente in compartimenti stagni le specializzazioni disciplinari.

In merito al primo aspetto, si ritrova una critica che caratterizzava i dibattiti sull’educazione a livello internazionale, alla fine del XIX secolo: sul fronte progressista vi erano i laici liberali, seguaci del positivismo e del movimento della Scuola Nuova; sul fronte conservatore, i cattolici tradizionalisti vicini ai gesuiti, fondatori di scuole private. “Scuolanovisti” e tradizionalisti si scontravano sul modo di intendere il valore dell’educazione, che nella visione neotomista dei cattolici assumeva il compito di forgiare la morale della persona, mentre l’educazione laica si limitava a istruire. Il punto è che nella modernizzazione generalizzata delle società, a partire dai mezzi di produzione (le rivoluzioni industriali) per arrivare alla costruzione di nuovi Stati-nazione, la lotta all’analfabetismo e la formazione della futura cittadinanza richiedevano approcci nuovi all’educazione, che fossero aperti alle conoscenze scientifiche per avere una formazione rapida, efficiente ed efficace di milioni di persone che, altrimenti, avrebbero costituito enormi masse di marginalizzati. Di conseguenza, tra la formazione morale olistica gesuitica, fondata sulla morale prettamente religiosa, e un’istruzione scientifica in grado di aprire orizzonti altrimenti ristretti, ma tendente a una specializzazione forse eccessiva, la conseguenza era di dover scegliere tra una visione sostanzialmente retrograda e una progressista, in cui la prima avrebbe rischiato di lasciare il mondo com’era, la seconda avrebbe dato la possibilità di crescere anche a costo di qualche pericolo.

Dal mio punto di vista, è sempre preferibile scegliere la via progressista, per quanto difficoltosa sia: l’educazione orientata secondo una visione materialistica può favorire la crescita morale della persona per vie diverse da quella religiosa/spiritualistica, ma non per questo peggiori. La scienza, in concerto con l’umanesimo, ha la possibilità di creare valori etici non ancorati a un pensiero immutabile, bensì allo sviluppo storico delle forme di conoscenza del mondo e dell’umanità. Ritenere che solo una filosofia “ancella della teologia”, o comunque avulsa e “superiore” alla conoscenza del mondo materiale, sia in grado di forgiare moralmente l’essere umano, è una forma di ideologia spirituale il cui orizzonte è chiuso come le volte celesti dell’antica concezione del mondo.

In merito al secondo aspetto, mi sembra però chiaro che il progresso non possa, né debba, essere considerato solo nei suoi aspetti positivi e dunque esente da critiche. Al contrario, liberando il sapere da una visione organica che subordina le conoscenze in ordini gerarchici di importanza (con la morale religiosa al primo posto), si è corso il rischio di ridurlo a compartimenti stagni, impermeabili l’uno con l’altro, avulsi dal contesto e poco utili alla formazione della persona, oltre che del tecnico specializzato. Ancor di più sul fronte disciplinare, anche in ambito universitario si tende tutt’ora a dividere le specializzazioni in settori ben precisi, cosa che spesso frammenta la formazione stessa. Gentile aveva intuito la questione, pur elaborandola da un punto di vista conservatore e gerarchico; io, personalmente, ritengo che la gerarchia dei saperi vada evitata a tutti i costi, ma proprio nella prospettiva di una diversa organicità della conoscenza.

Polemiche sorte negli ultimi anni, come la proposta di “abolire il liceo classico” da parte di esponenti del neoliberalismo, in quanto sarebbe una scuola di vecchia concezione (appunto gentiliana) che rallenta il progresso economico e sociale dell’Italia per la preminenza di studi classici ritenuti inutili, sono polemiche basate sulla stessa visione gerarchica e ristretta che vorrebbero eliminare. Non cambia molto nel sostituire la supremazia filosofica con la supremazia delle scienze esatte. Ogni conoscenza è necessaria, per non dire indispensabile, alla formazione e alla crescita organica della persona, sia sul piano morale che su quello dell’operatività.

In questo, tramite la critica di Gentile, mi sento di aderire all’idea marxiana dell’educazione dell’uomo onnilaterale, in cui ogni branca della conoscenza sia mantenuta nel processo di insegnamento-apprendimento. Ciò non vuol dire, come mi pare ovvio, diventare tutti esperti di qualsiasi cosa (di tuttologi il mondo è pieno, ma la tuttologia è un sapere privo di postura critica); la specializzazione stessa dei saperi, soprattutto quelli scientifici, rende impossibile avere una conoscenza esatta di tutto ciò che ci circonda. Le specializzazioni sono importanti per concentrare risorse mentali e fisiche nella ricerca, per aumentare e approfondire le conoscenze possedute; ma al fianco di ogni specializzazione, deve essere presente quell’apprendimento costante e generale, lungo il corso della vita, che almeno lasci aperte finestre di osservazione sugli altri campi, per non rinchiudersi in recinti e compartimenti stagni, con quel che ne consegue.

Per questo credo che, se affrontato nel modo critico che egli stesso poneva in essere col suo acume intellettuale, Giovanni Gentile possa ancora oggi fornire interessanti sproni alla riflessione sull’educazione in seno alla società.