Sul concetto di educazione reticolare

Cosa intendere per educazione reticolare?

A mio vedere, in questi anni di enorme diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione si sta concretizzando un processo di transizione dal vecchio paradigma piramidale, ossia centralistico, unidirezionale, e trasmissivo, a un nuovo paradigma reticolare, basato cioè sull’implemento di “reti” in ogni ambito – dunque, anche in quello educativo.

Queste reti possono essere esemplificate attraverso configurazioni sociali ad alto tenore tecnologico e partecipativo, quale può essere la smart city, la “città intelligente” i cui sistemi sono integrati grazie alle New Information and Communication Technologies (NICT), rendendola iperconnessa attraverso vari e complementari canali di interazione, di cui i social network sono uno tra i molti.

Sono reti basate sullo scambio di informazioni e di risorse, in cui non c’è più un centro unico trasmittente a senso unico verso le periferie, bensì tanti centri interconnessi che redistribuiscono ciò che viene prodotto, anche reimmettendo nel circuito ciò che non viene esaurito, e soprattutto contribuendo a far circolare risorse e possibilità in ogni aspetto della vita quotidiana. Un esempio concreto è la rete “intelligente” di distribuzione dell’energia elettrica: con la costruzione di smart building in grado di ridurre gli sprechi e produrre a loro volta energia, mentre alle centrali classiche si affiancano tecnologie rinnovabili, si passa dalla produzione e distribuzione centralizzata ai flussi multidirezionali.

Allo stesso modo, l’interazione tra istituzioni e cittadini, sul piano dei servizi come su quello della partecipazione sociale, sta procedendo verso forme inedite e contraddittorie di grandi aperture, trasparenza e coinvolgimento, come di controllo, omologazione e mercificazione (o mercantilizzazione, se si preferisce). Il predominio di forme organizzative quale il New Public Management, che ha rinnovato la concezione gestionale dell’amministrazione pubblica secondo criteri economici imprenditoriali, applica dinamiche di mercato a settori generalmente al di fuori del mercato stesso, per evitare sprechi e inefficienze. A una tale razionalizzazione si contrappone criticamente la Public Value Theory, che evidenzia come la componente economica, di per sé, non sia sufficiente per far progredire un organismo in continua evoluzione come una città: non si tratta solo di razionalizzare la pubblica amministrazione, bensì di integrare la partecipazione dei cittadini.

E per potervi partecipare, una configurazione del genere richiede una grande preparazione, a pena di rimanerne esclusi. L’educazione e in particolare le forme della pedagogia, sono dunque il progetto della società futura e il loro scopo ultimo è, a mio parere, la formazione della cittadinanza. Quanto più attiva, partecipativa e preparata sul piano teorico-pratico, tanto più questa cittadinanza sarà in grado di entrare nel processo decisionale e non lasciarsi trascinare dagli eventi.

Per questo credo che l’educazione, oggi, debba essere il più possibile reticolare: uscire dagli ambiti spesso angusti in cui viene relegata e diventare parte fondante del nuovo paradigma, in ogni tempo e luogo, aperta a chiunque voglia costruire il proprio percorso di vita, tanto individuale quanto collettivo. La presenza di una tensione educativa nell’intreccio dei contesti formali, non formali e informali, che possa stimolare tanto il pensiero critico per il cambiamento, quanto le conoscenze e competenze per operare nel qui e ora, è l’obiettivo a un tempo utopico e programmatico per l’umanità attuale e futura.

D’altro canto, lo sviluppo delle scienze dell’educazione, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, è consistito nell’applicazione del metodo scientifico in pedagogia, strutturandola attorno a modelli organizzativi e didattici il cui carattere più pregnante è la multidisciplinarietà, con la confluenza nell’educazione di elementi eterogenei e lo sviluppo conseguente dei settori psicologico, sociologico, metodologico didattico ed epistemologico-contenutistico, come ben delineato da Visalberghi. Lifelong learning, cultura di massa, politicità dell’educazione, educazione degli adulti, pedagogia sociale e intercultura, sono ulteriori campi d’azione teorico-pratica la cui urgenza è in linea con le complessità crescenti della vita associata nel XXI secolo.

Le ispirazioni per il concetto di educazione reticolare sono molteplici e trasversali, contando sul fatto che, come detto, la pedagogia è di fatto un campo multidisciplinare. Posso sintetizzarle nominando alcuni autori e autrici in particolare:

  • John Dewey, sulla nascita della democrazia: questa è costruita dal basso, dalle piccole comunità in interazione, il cui movimento si riflette alle regioni, agli Stati, fino ai rapporti internazionali. La formazione è perciò fondamentale, in quanto finalizzata al miglioramento delle capacità e dell’intelligenza degli individui, che si adatta al ritmo del continuo cambiamento della società. In questa formazione, la cooperazione gioca un ruolo primario: incoraggia le persone a tendere verso un dialogo costruttivo per la risoluzione dei problemi, di fronte a un tipo di società che è costitutivamente mutevole e precaria, che nella sua mobilità infinita deve rivedere in continuazione le proprie traiettorie, in ogni campo di attività. Per comprendere questa precarietà dele società democratiche, si può riprendere la distinzione di Dewey tra società pianificata e società in costante pianificazione: la prima si basa su uno schema imposto dall’alto, che prevede l’adeguamento di tutta la vita sociale alle direttive che portano alla realizzazione di uno scopo determinato; il presupposto di un “obiettivo finale” nega le possibilità di dibattito e cooperazione tra i cittadini. La seconda, invece, è attenta a un articolato controllo sociale dei risultati della liberazione dell’intelligenza, attraverso la più ampia forma di interscambio cooperativo. Il metodo democratico consente di discutere ogni scopo, promuove la collaborazione e la partecipazione.
  • Paulo Freire, il quale ha mosso una critica pressante alle forme standardizzate di educazione trasmissiva, contrapponendovi un’educazione comunicativa e dialogica. Ha basato la sua pratica pedagogica sull’idea che lo studente possa assimilare l’oggetto del sapere attraverso una pratica dialettica con la realtà, al contrario di ciò che considera un’istruzione bancaria, in cui si riduce lo studente a un conto in cui depositare informazioni. Al contrario, lo studente può creare la sua stessa istruzione costruendo un proprio percorso, piuttosto che seguire un curriculum prestabilito. In questo processo, lo studente diventa consapevole che ciò che sta studiando è l’ambiente in cui vive, imparando a essere partecipe di ciò che lo circonda e di cui ha già esperienza. Questa visione muove dall’idea che non esiste un’educazione neutrale, perché ogni atto educativo è un atto politico, che stimola a superare un visione magica e acritica del mondo, in favore di una comprensione critica della realtà. La coscientizzazione è l’obiettivo formativo supremo: non solo presa di coscienza del dato reale, ma anche e soprattutto passaggio all’azione trasformatrice, in nome di quel essere-di-più che esprime l’aspirazione a realizzare pienamente se stessi in comunione con gli altri.
  • Maria Montessori, sull’autonomia che porta all’autoeducazione. Attraverso l’autonomia nelle pratiche di lavoro e di gioco all’interno della scuola, si sviluppa anche l’autonomia mentale, che è poi la volontà. Nel periodo di grande creatività dell’infanzia, la curiosità verso la scoperta del mondo, delle cose, degli strumenti e del loro funzionamento, costituisce la materia prima del lavoro educativo, con cui indirizzare lo sviluppo mentale del bambino verso la volontà finalizzata a uno scopo. Tutto deve esser organizzato affinché il bambino possa scegliere da solo quale attività svolgere: nel momento in cui decide cosa fare, quale strumento utilizzare e sperimentare, lì si crea la concentrazione assoluta, che altrimenti non c’è quando viene imposta attraverso i metodi tradizionali della pedagogia trasmissiva. Il bambino concentrato è perciò disponibile a imparare, in virtù della sua mente assorbente, le nozioni reali derivanti dalla pratica. Lo sviluppo delle straordinarie capacità della mente che il bambino ha in se stesso, è necessario allo sviluppo di adulti autonomi, dunque liberi. Questa è l’autoeducazione, un processo di insegnamento-apprendimento espresso in una famosa frase montessoriana: “il bambino è padre dell’uomo” – e la bambina è madre della donna, possiamo aggiungere – ossia è genitore dell’adulto che diventerà.
  • Anton Semionovic Makarenko, con la teoria pedagogica delle linee prospettiche: l’individuo, pur nella sua autonomia, deve tener presente che ogni sua azione è legata a quelle degli altri, in una rete di rapporti, relazioni, cause ed effetti; specularmente, il collettivo deve possedere la generale consapevolezza che la vita associata è il risultato delle interazioni individuali. Ciò comporta due linee di prospettiva nell’azione pedagogica, per cui allo sviluppo delle capacità individuali deve corrispondere lo sviluppo delle relazioni del collettivo, in una sorta di insegnamento/apprendimento mutuale, il cui collante è la disciplina, intesa come formazione di valori etici e morali attraverso la collaborazione e la partecipazione alla vita in comune. Senza questa corrispondenza, o presa di coscienza, la prospettiva individuale è incline a generare atteggiamenti egoistici, che portano all’irresponsabilità verso le esigenze e i problemi della collettività. Allo stesso modo, la prospettiva collettiva perde la sua direzionalità, tende a sfaldarsi e a non fornire più scopi e obiettivi, rinunciando di fatto alla sua natura profonda di contesto esistenziale. Una disciplina cosciente e motivata, che faccia comprendere ai membri del collettivo il perché di ogni decisione, rafforza quella convergenza di prospettive e ha come risultato la responsabilità dell’individuo di fronte alla società e viceversa.
  • Jürgen Habermas, per il quale la comunicazione sociale può portare alla fondazione di valori etici derivanti dal dibattito, dal discorso. L’opinione pubblica nasce dall’interazione dei vari soggetti sociali, ognuno dotato di un proprio linguaggio: la comunicazione tra gruppi nello spazio pubblico si traduce nella condivisione di opinioni e idee di parte che, divenendo maggioranza, acquista un valore d’influenza sui meccanismi sociali e politici. Questo dibattito collettivo si concentra sui problemi di interesse comune e si basa sul metodo dell’argomentazione razionale, piuttosto che sull’autorità o sulla tradizione. L’etica del discorso forma un modello di società basata sull’eguaglianza dei partecipanti al dialogo, sulla soluzione razionale dei problemi attraverso di esso e quindi sulla condivisione di interessi universali.
  • Ivan Illich, teorico della descolarizzazione della società: la formazione scolastica tradizionale ha come obiettivo la professionalizzazione degli individui, in modo da renderli funzionali alle esigenze economiche; ha perciò una natura manipolatoria, in quanto spinge ad accettare il controllo e la gerarchia nella società, preparando il terreno attraverso la separazione del sapere e la sacralizzazione del ruolo dell’insegnante. La soluzione risiede nell’esatto contrario: distruggere l’istituzione scolastica per sostituirla con reti informative, una specie di tessuto che coinvolge l’intera società, una società educante in cui l’apprendimento è libero e costante attraverso la convivialità. La descolarizzazione mira dunque a riportare in seno all’intera società il compito di educare e formare i giovani, rendendo l’apprendimento informale e onnipresente.
  • Niklas Luhmann, per converso, teorico di una sociologia sistemica in cui la scuola è un sotto-sistema sociale che seleziona e conforma, guidata da una teoria pedagogica funzionale alla società che la esprime. Mentre il modello educativo di fine Ottocento era funzionale a una società a basso livello tecnologico, oggi il dinamismo dello sviluppo tecnico produce trasformazioni rapide, rendendo necessario un tipo di apprendimento altrettanto tecnico, in grado di fornire all’individuo gli strumenti e i metodi che gli servono per comprendere adeguatamente il mondo che lo circonda. Saperi e tecniche che rendano efficace l’educazione ed efficiente il cittadino, di cui l’apprendimento per tutta la vita e l’imparare a imparare sono gli esempi principali. L’educazione tecnologica consiste nella multimedialità, nell’uso delle macchine per imparare, nella logica computazionale, nell’acquisizione di informazioni, nello sviluppo delle competenze e nell’implemento della prestazione, in una prospettiva scevra da valori morali o ideologici.
  • Marshall McLuhan, per l’idea del villaggio globale: lo sviluppo tecnologico accompagna l’allargamento della prospettiva sociale e politica dal piccolo villaggio (il territorio locale, limitato, individuale) alla totalità del mondo. Ciò che caratterizza il villaggio globale è l’interconnessione, un facile accesso alla comunicazione e la moltiplicazione delle diversità nell’interazione. Grazie a Internet, l’espressione “villaggio globale” ha avuto molto successo e sembra ora indicare la riduzione del mondo intero in un singolo villaggio, dove tutti possono comunicare e conoscersi. Non è sinonimo di democrazia, ma può essere un’opportunità per lo sviluppo democratico.
  • Martha Nussbaum, sulla questione della preparazione alla cittadinanza e della partecipazione in una società plurale. Essere cittadini costituisce in maniera naturale un problema educativo, poiché l’epoca attuale è caratterizzata dalla apertura globale delle società e la perdita di certezze culturali e sociali, tipiche delle società nazionali chiuse. L’obiettivo dovrebbe essere quello di rinunciare alla propria realtà di origine, uscire dal proprio contesto e incontrare le diversità culturali che compongono il mondo. Particolare importanza riveste la cura di sé, da intendere come un apprendimento permanente di stili di vita, pensieri differenti, forme di auto miglioramento, per poter evolvere personalmente e, attraverso ciò, influenzare un cambiamento della società in positivo, verso un universalismo etico liberale, pluralista e multiculturale. Per costruire i cittadini del futuro è necessario implementare lo studio delle materie umanistiche, dare spazio agli studi filosofici, sociologici e sulle culture del mondo.
  • Pierre Lévy, la cui visione della “cyberdemocrazia” è espressione concreta del suo principale concetto sociologico e filosofico, l’intelligenza collettiva: una comunicazione globale che, nel suo massimo sviluppo con l’avvento di Internet e delle enormi possibilità di accesso alle informazioni, riunisce le comunità in gruppi di neuroni di un singolo cervello virtuale, in cui tutte le intelligenze individuali partecipano alla formazione di un pensiero collettivo.
  • Antonio Negri e Michael Hardt, con la loro teoria politica del comune: cioè il complesso insieme di bisogni, capacità e produzione degli individui, lavorando per una vita sociale che ridia valore e priorità politica a beni e spazi comuni di fronte al modello economico globale. Questa idea si inscrive nella relazione tra il mondo globalizzato e multicentrico, da loro definito impero, e la moltitudine, ossia l’insieme delle singolarità, libero ed espressivo nella produzione di idee, nei modi di comunicare, di risolvere problemi, ecc.. Comunicazione e linguaggio formano un potere biopolitico che si esprime attraverso i media, la cui struttura senza contorni definiti è in linea con le ambiguità geopolitiche della globalizzazione economica.

A questa lista assolutamente parziale aggiungerei, almeno come menzione, Lev Vigotskij, Jerome Bruner, Edgar Morin, Emilia Ferreiro, Jean Piaget, Amartya Sen, Giovanni Gentile, Antonio Gramsci e la lista continuerebbe ancora.

Immagine tratta da Dall’Ò G., Smart City. La rivoluzione intelligente delle città, Milano: il Mulino, 2014.